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Refoli messi in rima e costruttori d’aquiloni: “Boramata” a Trieste tra storie e raffiche

La prima giornata della kermesse battezzata dalla “visita” a sprazzi della sua ventosa protagonista. Laboratori e divertimento per i bimbi

Francesco Codagnone
3 minuti di lettura

Le girandole di BoraMata (Silvano)

 

TRIESTE Disordinate, come piace al vento. Blu e magenta, incostanti e leggere. Le girandole si lasciano accarezzare da un “borin” dispettoso. L’ombra degli aquiloni offre sollievo a poeti e marinai, le pagine di Svevo son lette dai refoli. La bora è accennata ma bizzosa, un po’ “mata” ma molto amata. La festa del vento folle e invadente inizia con raffiche improvvise, imprevedibili: “Boramata” spazza via i pensieri, riempie la piazza di brezze e persone.

La rassegna – organizzata da Prandicom con Museo della Bora, il sostegno di Acegas, la Regione e il Comune – parte con qualche minuto di ritardo causa refoli intensi, riprende con leggerezza quando il vento si fa clemente. Le girandole, vanitose, si lasciano fotografare. Nel cielo volano già, o almeno ci provano, aquiloni a quattro cavi. Sara Rizzetto, vicecampionessa europea di aquilonismo acrobatico, imbriglia la forza del vento e li muove a sua immaginazione. Senza musica, ma canticchiando un motivetto: gli aquiloni di solito volano nel mare o nei prati, «qui e solo qui a Trieste volano in piazza, tra le persone».

Foto tra le girandole (Silvano)

 

Sara lavora all’ospedale di Cattinara, dopo la pandemia e tanto tempo “Boramata” è stato il suo ritorno al vento: «libertà» dice, unica parola. In un fazzoletto d’ombra, di lato alla piazza, decine di bambini costruiscono aquiloni. Il laboratorio è semplice, sostenibile: i rocchetti sono scatoloni della frutta assemblati con ingegno, la tela è riciclata, bianca con sprazzi di viola o rosso. Edo Borghetti ne prende uno e s’aiuta a farlo volare con una canna da pesca: «E adesso tocca a voi». “Edofly” è globe-trotter del vento, con le sue grandi “bol” e i suoi aquiloni giganti, fantasie e mostri che ruotano su loro stessi: ha iniziato da bambino, quando suo padre lo portava in campagna a far volare le losanghe.

Un ragazzino col numero 10 sulla maglietta degli Azzurri vola a terra, con lui il suo aquilone arancio e rosso. Si sbuccia il ginocchio, sbuffa un po’: poco gli importa, si corre controvento. Olivier Dejean arriva dall’isola tropicale La Réunion, è in città con i figli. Olivier è curioso, crea anche lui un aquilone bianco e lilla. È abituato ai cicloni ma la bora lo lascia a bocca aperta: mostra una foto di una vespa rovesciata a terra, di una signora aggrappata a un lampione. Della bora i triestini, dice, «parlano come se fosse una persona, al femminile, permalosa ma sensibile».

Ilaria Vecchiet, triestina, gli passa lo scotch e offre consigli, in italiano francese: si sono conosciuti pochi minuti prima e ormai sono amici. Ilaria ha saputo di “Boramata” la mattina stessa, ascoltando la radio. E a lei la bora piace, «fa ridere e fa preoccupare», ma quando s’intreccia ai suoi ricci nocciola pensa: «È fastidiosa ma è solo mia».

Giovanna Castellana fa morire dal ridere. Mezza triestina, mezza friulana, abita in valle e il mare le manca. Il vento, invece, la fa impazzire. S’è portata con sé la brezza in tasca: la donerà al Museo della Bora che, come tutti i «musei veri e seri», conserva una bizzarra collezione di venti. Giovanna tira fuori dalla borsa una bottiglia di vetro marrone, un tempo conservava pomodori pelati: mangiata la pasta ci ha ficcato dentro il vento del Natisone. Il «vento salsa», lo chiama lei, perché è frizzante e ballerino, scalda e smuove: «Chiudi gli occhi e aspetti il refolo che arriva, lo respiri più che puoi e chiudi bene col tappo». Giovanna raccoglie la brezza e la riporta alla sua Trieste, che è «ricettacolo di storie, di ricordi di quand’ero bambina e venti in bottiglia». Di bora «prepotente e arrogante», che «arriva all’improvviso e all’improvviso se ne va, e poi ti manca, mi manca davvero».

Il figlio, Riccardo, è con gli altri bambini a costruire aquiloni: la mamma lo indica e racconta che «tempo fa ha avuto un’incidente, per due mesi ha perso la memoria. E sentiva come un ronzio, un rumore bianco, un po’ come il mare, il vento». Mentre parla, un aquilone verde e blu le vola addosso: «E poi un giorno ha iniziato a recitarmi una sua poesia».

Riccardo dal niente e nel trauma s’è messo a scrivere rime, tant’è che ci ha scritto un libro, è finito su Repubblica e Vanity Fair, le sue poesie le ha lette pure Elio Pecora. Ne scrive tante su Trieste, tantissime sulla bora che ama, una è pure esposta al museo del vento: la madre si mette a cercarla sullo smartphone.

I due non perderanno un solo appuntamento di “Boramata”: già ieri, nel tardo pomeriggio al museo Schmidl, si sono lasciati scompigliare i capelli da chicche eoliche e idee ventose. E poi stamattina, 4 giugno, alle 10 in piazza Unità, nuove acrobazie con gli aquiloni, se quella pazza bora lo concede. Alle 17.30 si sposteranno al Revoltella per tre videopillole di scienza e storia: un’antica testa di vento rinvenuta ad Aquileia, la battaglia della Bora del 394 d.C., la bitta dei venti su Molo Audace. E poi lunedì, alle 17 sempre nella piazza ventosa, la vendita di beneficenza delle girandole per l’associazione “Trieste entra in gioco”, per promuovere l’inclusione attraverso lo sport.

L’altro vento li aspetta ma intanto si godono gli aquiloni gonfiabili e le girandole impazzite. Giovanna trova infine la poesia del figlio, e nel borino ne legge una strofa: la bora «è un refolo di vento frizzante, che ruba le lacrime e scompiglia dispettoso i capelli, un racconto d’avventura, il mare che fuoriesce dal contorno».

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