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Elezioni Regionali Friuli Venezia Giulia 2023

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Elezioni regionali Fvg, l’affluenza scivola al 45%

Non c’è stata l’inversione del secondo giorno. Trieste la Cenerentola con il 40%

Fabio Dorigo
Aggiornato alle 2 minuti di lettura

TRIESTE. Alla fine l’affluenza non si è rialzata. Il secondo giorno di voto ha tagliato le speranze a un trend che sembrava riportare l’asticella della partecipazione sopra il 50% come dieci anni fa. Alle 15 di ieri l'affluenza si è fermata a 502.203 votanti su 1.109.395 iscritti, pari al 45,26%. E la circoscrizione di Trieste si conferma ancora una volta la Cenerentola del voto con il 40,62% (85.782 persone su 211.162 iscritti). La più alta percentuale si è registrata nella circoscrizione di Udine, dove però si votava per il Comune: 200.381 votanti su 410.423 iscritti (48,82%), A Gorizia, invece, ci sono stati 53.664 votanti su 117.975 iscritti (45,48%), a Tolmezzo 34.780 votanti su 80.827 iscritti (43,03%) e a Pordenone 127.596 votanti su 289.008 iscritti (44,14%). Il primo giorno, domenica (dalle 7 alle 23), si era recato alle urne il 35,20%. Cinque anni fa alle elezioni regionali del Friuli Venezia Giulia, quando, si votava in un solo giorno, si era registrata un'affluenza pari al 49,65%. Alle urne si erano recati 549.374 elettori del Friuli Venezia Giulia, meno della metà degli aventi diritto (1.107.415). Dieci anni fa, nel 2013, alle elezioni regionali, quando invece si votava in due giornate come in questa tornata, l'affluenza definitiva era stata del 50,48%.

La disaffezione alla urne regionali (nonostante la specialità che ci contraddistingue) è ancora più evidente se paragonata al voto nazionale di soli sei mesi fa. Il 26 settembre in Friuli Venezia Giulia si sono recati ai seggi per scegliere gli 8 deputati e i 4 senatori il 66,21% dei 936 mila aventi diritto, comunque 9 punti in meno rispetto al 2018 (75,12% alla Camera, 75,10% al Senato). La percentuale più più bassa si era registrata a Trieste con il 61,04%.

Può confortare, ma solo in parte, il confronto con le recenti elezioni regionali in Lombardia e Lazio. Il 12 e 13 febbraio (anche allora si votò in due giornate) si recarono a votare in Lombardia appena 41,67% degli aventi diritto e nel Lazio solo il 37%. Punta massima di astensionismo a Roma con il 33,11%, dato sconfortante se si pensa che alle regionali del 2018 nella Capitale andò alle urne il 63,11%. Un declino elettorale inarrestabile che sembra riguardare anche il nordest del Paese. L’inversione di tendenza non c’è stato. L’astensionismo sta diventando cronico. Una specie di malattia della nostra democrazia. «C’è uno stacco che continua inesorabile - spiega Maurizio Pessato, vicepresidente di Swg -, Prima c’è stato lo stallo delle politiche dello scorso settembre, poi ci sono stati i casi i Lombardia e Lazio, le regioni più popolose del Paese. E noi siamo su perfettamente quella linea. Cresce questo distacco dalle istituzioni da parte della popolazione». Un fenomeno preoccupante e difficile da risanare.

Non ha dubbi il sondaggista Pessato: «Nonostante il candidato giovane come Fedriga, l’effetto Schlein sul Pd, il risultato non cambia. Non si tratta più solo di sfiducia o disaffezione nei confronti delle istituzioni. Il dato che ormai emerge chiaro è una parte rilevante della popolazione non partecipa, si chiama fuori da gioco democratico». Non è interessata. Tanto non cambia nulla, pensano. Non è più neppure un voto di protesta. C’è disinteresse. Apatia. Inerzia. «Non è più solo disaffezione o sfiducia, ma inerzia nei confronti delle istituzioni - conclude Pessato -. Persone che si sentono fuori, che restano fuori. Non c’entrano in questa partita. C’è una parte del Paese che si sta inertizzando. Ed è la cosa più insidiosa per le nostre istituzioni. È il segnale che la democrazia attuale non se la passa bene. E qua serve un impegno forte della politica e delle istituzioni».

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