TRIESTE Nel lontano 1956 Günther Anders aveva intitolato “L’uomo è antiquato” un libro che continua a essere attuale. Grandi parole come “uomo”, “umanità”, “umano”, possiamo ritenerle ancora parole piene di significato, nonostante suonino vecchie, svuotate, quasi cancellate dalla complessa artificialità di un mondo che ormai adopera il linguaggio della post-umanità. Sono diventate simili a espressioni retoriche, generalizzanti, senza concretezza.
Eppure se diciamo, per esempio, che oggi manca il “calore umano”, ci comprendiamo immediatamente: l’altra o l’altro che abbiamo vicino capisce bene di che cosa stiamo parlando, senza tanti fraintendimenti.