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«L’impresa è ferma e mio padre malato

Non ce la facciamo» La ditta di pulizie non lavora a causa delle restrizioni Di colpo senza entrate la titolare, sua sorella e la nipote

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trieste

Cristina è un’imprenditrice, arrivata in Italia dalla Romania vent’anni fa. Una di quelle persone che nella vita sono abituate ad arrangiarsi. A partire dall’anno scorso è tuttavia costretta a rivolgersi a un ente caritatevole, non tanto per se stessa quanto per riuscire a provvedere ai suoi cari: vivono in cinque, in un decoroso appartamento poco lontano dal centro di Trieste, e al momento riescono forse a mettere assieme uno stipendio.

Non le era mai capitato di dover chiedere aiuto, prima. Le abbiamo dato un nome di fantasia per tutelarne la privacy. Dopo vari impieghi come dipendente, nel 2017 Cristina ha aperto partita Iva e ha messo in piedi un’impresa di pulizie, che dava lavoro anche a sua sorella e sua nipote. Tutto sembrava aver preso la piega giusta. Poi all’improvviso la pandemia.

Gli uffici dove le donne prestavano servizio hanno chiuso, con i vari lockdown, e le donne si sono ritrovate senza reddito: «Rispetto al 2019, nel 2020 avrò perso come minimo l’80% del fatturato – racconta Cristina –. Gli uffici sono chiusi. In questo momento ho un unico cliente, faccio le pulizie in un solo locale. Non può bastare». Nel frattempo la sorella si è reinventata, riuscendo a svolgere un paio d’ore al giorno come badante, ma non tutti i giorni della settimana. Percepisce l’assegno del reddito di cittadinanza, il cui importo mensile si è abbassato, senza che sia ancora riuscita a capire il perché.

Come segnalato da diverse realtà attive nel sociale, il carico lavorativo per le badanti è diminuito parecchio da quando è esplosa l’emergenza sanitaria: le famiglie hanno paura di accogliere persone terze tra le mura domestiche; in altri i casi gli anziani sono ospedalizzati o scomparsi. La sorella di Cristina ha un figlio, che ha di recente conseguito la patente necessaria per lavorare come autista, ma non riesce a trovare un impiego: «È tutto chiuso», è il leitmotiv che ripete Cristina. La fidanzata del ragazzo lavora per Cristina ed è a casa pure lei.

A partire da quest’estate, assieme a loro quattro abita anche l’anziano padre di Cristina: era venuto in Italia a trovare le figlie in una delle finestre temporali in cui l’Europa aveva riaperto. È stato male e ha subito un importante intervento, che lo ha reso non autosufficiente. «Non avrebbe voluto trasferirsi qui, stava bene nel suo Paese. Ma come posso rimandare una persona disabile, sola, in Romania? Non ha nessuno là, è impossibile». Fino a quel momento la famiglia si era arrangiata, ma il costo delle cure si è rivelato insostenibile.

Poi l’incontro con la Comunità di Sant’Egidio. «Ho saputo tramite un’amica che distribuivano letti e me ne serviva uno per il papà – continua Cristina –. Così ci siamo conosciuti, per caso. Oltre al letto, forniscono visite mediche periodiche (la Comunità ha dei medici che operano su base volontaria, ndr) e farmaci. Le medicine le portano direttamente loro, non so quanto costino. Meno male che ci sono. Non avevo mai chiesto aiuto, prima».

Oltre al sostegno per il padre, l’unico altro aiuto chiesto a Sant’Egidio ha riguardato la somma necessaria per la caparra dell’affitto di un nuovo appartamento: quello dove stavano prima era troppo piccolo, per poter ospitare anche l’anziano disabile. «Adesso vediamo cosa succede quando arriva l’affitto di questo mese, forse dovremo chiedere di nuovo aiuto. Ma noi speriamo di lavorare, non appena sarà finita la zona rossa. Magari ristoranti e negozi riapriranno». —



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