TRIESTE «Mi hanno chiesto un affitto cinque volte maggiore rispetto a quello che pagavo. Ho proposto il doppio, ma non hanno accettato e così ho dovuto chiudere». Manuela Lugnani, cinquantenne, ha dovuto abbassare la serranda del suo locale, il bar Portamarina, in via del Pesce, il 31 dicembre scorso, dopo 22 anni di attività. Per 53 metri quadrati, racconta, i proprietari le avevano proposto un canone che da 850 euro sarebbe passato a circa 4 mila al mese. Una cifra insostenibile per lei: voleva dire passare da diecimila a cinquantamila euro all’anno. Prendere o lasciare. Manuela ha deciso di lasciare. E così ora è disoccupata.
Oltre al bar della signora Lugnani, pure la merceria di via di Cavana 11, che vendeva anche abbigliamento intimo, ha chiuso i battenti il 30 novembre scorso. Dopo 25 anni. In futuro il negozio dovrebbe ospitare un’agenzia immobiliare. «Non abbiamo accettato l’aumento dell’affitto», spiega Giulia Perosa, che portava avanti l’attività da 20 anni con la madre Gigliola, la quale l’aveva avviata cinque anni prima. «Non sappiamo in quanto consistesse l'aumento, abbiamo detto no a priori – aggiunge -. La proprietà ci ha detto che la zona è molto gettonata e che avrebbe comunque trovato qualcun altro disposto a pagare quelle cifre. Insomma, pare ci sia la fila fuori dalla porta. Noi saremmo rimaste almeno altri sei anni, la durata del rinnovo del contratto».
Alla signora Gigliola mancano due anni per andare in pensione, ma Giulia ha 42 anni. «Restiamo, per il momento, tutte e due disoccupate – racconta -. Non abbiamo cercato altro perché era molto difficile. Lì eravamo un negozio rionale, ci conoscevamo tutti e tanti ci rimpiangono». Abbandonare quel luogo non è stato facile, soprattutto l’ultimo giorno. «Io sto ancora male – conclude Giulia -, non riesco ad accettarlo. Mia mamma, avendo lavorato dall’età di 15 anni, è giusto che si goda la pensione, ma per me è più difficile. L’ultimo giorno è stata dura tirare giù la serranda. Di mezzo c’è anche un legame affettivo con quel negozio, che avevamo costruito noi».
Anche il negozio di motorini Star Bike pare abbia ricevuto dai proprietari del foro commerciale una richiesta di aumento d’affitto. Declinata, gli inquilini avrebbero deciso di chiudere l'esercizio alla fine di quest’anno. «Per i fori commerciali di Cavana c’è sempre una richiesta alta – spiega Filippo Avanzini, vicepresidente Fiaip Trieste -, soprattutto per la locazione. Nonostante la pandemia, c’è comunque ottimismo sul mercato, in attesa anche che il turismo triestino riprenda». Per un locale di 80 metri quadrati affacciato su via di Cavana, secondo Avanzini, il canone è tra i 3 e 4mila euro al mese. «Tuttavia non abbiamo registrato aumenti qui – aggiunge -, ma può essere che qualcuno abbia sfruttato la situazione oppure che si parlasse di contratti che non erano finora stati adeguati al mercato».
Non c’è però solo l’aumento del canone dietro alla comparsa di tanti nuovi inquilini nella zona. Sempre in via di Cavana, al posto ad esempio di Salumare, che proponeva specialità di pesce, si è inserito Set - Sapori eccellenti del territorio, un bar-gastronomia dove trovare i prodotti locali un tempo venduti da Terra Mater in via dei Capitelli. Un cambio di guardia è in fieri anche in via di Cavana 6, dove in questi giorni ha chiuso definitivamente l’ultimo negozio del marchio Masé. Era stato acquistato ancora lo scorso anno da una società immobiliare triestina, che affitterà il foro da 70 metri quadrati a un pubblico esercizio. Con questa operazione, di fatto, l’insegna dell’azienda fondata a Trieste nel 1870, rilevata nel 2013 da una cordata di imprenditori friulani capitanati da Stefano Fulchir, sparisce dal mercato. Quattro i dipendenti rimasti. Eccetto uno in età pensionabile, agli altri tre, aveva promesso Fulchir, sarebbe stata data la possibilità di lavorare nelle altre attività dell’azienda iVision Health, focalizzata sulla produzione di mascherine. —