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Pandemie, apocalissi e catastrofi da “Alone” a “2067” la fantasia è diventata la realtà di tutti i giorni

Altro che alieni cattivi, i temi delle pellicole di quest’anno rispecchiano i problemi con cui abbiamo a che fare qui e ora a cominciare dalla piaga ambientale. Fra le anteprime “The Blackout” di Egor Baranov e tra le saghe sci-fi Skylin3s” di Liam O’Donnell

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Alzi la mano chi non ha pensato almeno per una volta, negli ultimi mesi, di essere finito dentro a un film di fantascienza. “Contagion”, “L’ultimo uomo sulla Terra”, “La città verrà distrutta all’alba”. Scenari a cavallo tra il verosimile e l’impossibile, tra immaginazione e realtà, tra scienza e fantascienza, appunto. Perché in fondo - si pensava - basterebbe veramente poco per ritrovarci in un mondo che dall’oggi al domani deve fare i conti con un nemico silenzioso e invisibile: il virus, la malattia, il contagio, la pandemia.

Ed ecco che, senza preavviso, quel giorno arriva davvero e il timore si trasforma in realtà. Tutti, nessuno escluso, ci vediamo catapultati, impreparati e sorpresi, in un nuovo presente, costretti a cambiare il nostro modo di vivere, comprese le piccole abitudini date fino a ieri per scontate, obbligati ad affrontare una quotidianità sconosciuta che ha al tempo stesso un sentore familiare, un senso di dejà vu che affonda direttamente nell’immaginario cinematografico nel quale siamo cresciuti.

Un tempo nella fantascienza si trasfiguravano le nostre paure, le tensioni (anche politiche), le inquietudini del momento. Ebbene oggi quel mondo fantastico non è più una via di fuga, è il reale. Viviamo, nel presente, la distopia “perfetta”. Di cosa ci parlerà, d’ora in avanti, il cinema? Cosa sarà il cinema dell’era Covid? Questo lo sapremo in futuro, quando e se le produzioni potranno finalmente riaccendere i riflettori, quando il settore, uno dei più colpiti e compromessi dalla crisi pandemica, troverà le risorse per reagire a questo blocco infernale. Nel frattempo, i film che vedremo (on line) al Trieste Science+Fiction Festival creano un corto circuito temporale che si innesta nella rappresentazione di un domani che è già oggi e ieri.

Come in una macchina del tempo ci riportano ancora i segnali, gli allarmi, ci informano di quei sogni premonitori, così lucidi nelle loro intuizioni, con cui si cercava di mettere in guardia sulla fragilità di un mondo instabile e drammaticamente vicino al collasso. Pandemie, apocalissi, catastrofi ambientali. Scenari cupi sui quali incombe, pesante come un macigno, un senso di distruzione imminente.

Non l’unico tema, tanto meno declinato in un unico canone, ma di certo molto presente e in ogni caso uno di quelli a cui si presta maggiore attenzione, viste le circostanze. Qualche esempio? “Alone”, secondo lungometraggio dello statunitense Johnny Martin, ambientato durante lo scoppio di una pandemia che getta il mondo nel caos, mentre gli esperti invitano i cittadini ad auto-isolarsi per sopravvivere. In un duetto praticamente perfetto, anche questo appartenente al filone di racconto sul contagio, con “Skylin3s” di Liam O’Donnell, terzo capitolo della fortunata saga sci-fi, in cui - pensa un po’ - la diffusione di un nuovo e devastante virus alieno minaccia la vita sul pianeta Terra.

Elaborando il trauma delle deforestazioni selvagge, invece, virando quindi solo di poco dalle epidemie alla piaga ambientale, “2067” dell’australiano Seth Larney, in anteprima italiana fuori concorso, si affida alle capacità di Kodi Smit-McPhee (il popolare Nightcrawler della saga degli “X-Men”) nei panni di un astronauta del tempo, spedito nel futuro a impedire un disastro ambientale. Lo scenario è quello di una Terra ormai sull’orlo del baratro. Dopo anni in cui quasi nulla è stato fatto per fermare il climate change, la vita vegetale si è estinta e la quantità di ossigeno si è drammaticamente ridotta e le possibilità di sopravvivere pari allo zero.

L’umanità, infatti, è minacciata da un letale “mal d’ossigeno”, poiché l’ossigeno artificiale, unica fonte di aria respirabile, sta facendo ammalare milioni di persone. Ce la farà il nostro eroe ad arrestare gli eventi? Cambiando latitudine, dalla Russia, “The Blackout” di Egor Baranov, prossimamente distribuito in Italia dalla Minerva Pictures e presentato al Science+Fiction fuori concorso, ci proietta in un futuro in cui nessun meteorite ha colpito la Terra, nessun attacco terroristico ha messo in pericolo il mondo, nessuna guerra atomica è scoppiata, eppure qualcosa è andato storto. I contatti fra le diverse città del pianeta sono stati interrotti e solo un piccolo anello nell’Europa dell’Est è ancora servito dall’elettricità.

Ciò che i militari vi hanno scoperto all’esterno è sconvolgente: cadaveri ovunque, nei negozi, nelle auto, negli ospedali, nelle stazioni. Gli scienziati hanno determinato che la causa dell’ecatombe è una tossina prodotta dallo stesso corpo umano. Quanto a lungo potrà sopravvivere l’ultimo avamposto dell’umanità?

Se “la fantascienza è il neorealismo del futuro”, come si leggeva sessant’anni fa, in piena era atomica, agli albori della Prima era spaziale, sulle pagine dei celeberrimi “Cahiers du Cinéma”, forse è proprio il caso di preoccuparsi.

Un’affermazione che oggi, inaugurati gli anni Venti del Terzo Millennio e in piena pandemia, non pare solo sensata, ma addirittura profetica. —



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