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Il vaccino fai-da-te del gruppo di Boston

Pratica forse nobile e accettabile, quella dell’autosperimentazione, nei tempi eroici della medicina, ma decisamente più discutibile oggi, quando c’è bisogno di certezze.

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In Friuli Venezia Giulia è fuga dal vaccino antinfluenzale 

TRIESTE Una mistura di frammenti di proteine di Sars-CoV-2 ottenute in maniera sintetica, un pizzico di chitosano (uno zucchero del guscio dei crostacei), un inalatore nasale ed ecco fatto: un vaccino fai da te contro Covid-19 pronto a essere utilizzato. Se volete la ricetta, la potete scaricare dal sito della Rapid Deployment Vaccine Collaborative (RadVac), un’iniziativa messa in piedi da un gruppo di una ventina di scienziati di Boston, i più dei quali affiliati alla Harvard Medical School o al Mit, i quali hanno pensato di mettere a disposizione di tutti le proprie competenze scientifiche applicate al vaccino. Ha fatto il giro del mondo una foto di George Church, uno dei più famosi e geniali ricercatori dei nostri tempi, intento a infilarsi l’inalatore nella narice e spruzzarsi il presunto vaccino.



Per di più, gli scienziati di Boston non sono i soli. Al giorno d’oggi, i reagenti per compiere ricerca biomedica non sono solo a disposizione dei laboratori più avanzati ma sono anche accessibili a una vasta schiera di biohackers che praticano il fai-da-te nel garage sotto casa, dai test sul DNna agli esperimenti di ingegneria genetica. Molti di questi hanno ora anche iniziato a postare ricette caserecce su come ottenere un vaccino contro Covid-19.

Nessuno può sapere se qualcuno di questi tentativi alla fine possa funzionare. Nel caso del gruppo di Boston, molti rimangono scettici e pensano che le proteine sintetiche non siano efficaci, o la via nasale non sufficientemente potente, o il veicolo per la somministrazione inadeguato. Al di là di queste considerazioni scientifiche, però, la riflessione più pertinente è probabilmente quella di tipo etico e metodologico. Da Jonas Salk che iniettò il proprio vaccino contro la poliomielite a sé stesso e ai suoi figli a Joseph Goldberger, che si somministrò il sangue dei malati di pellagra per dimostrare che questa non era una malattia infettiva, la storia della medicina è piena di esempi di medici che sperimentano le proprie convinzioni per primi su se stessi. Lo stesso premio Nobel per la medicina di 5 anni fa a Tu You-you ha celebrato la scoperta dell’antimalarico artemisina che la ricercatrice cinese aveva provato su di sé negli anni ’70.

Pratica forse nobile e accettabile, quella dell’autosperimentazione, nei tempi eroici della medicina, ma decisamente più discutibile oggi, quando c’è bisogno di certezze. Senza sperimentazioni controllate condotte secondo i crismi della ricerca clinica e su un numero appropriato di individui – come stanno facendo gli oltre 155 vaccini contro COVID-19 in via di sviluppo in questo momento - l’inevitabile rischio è quello di rimanere nell’ambito degli aneddoti e non della scienza provata. —




 

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