TRIESTE “Il transito è consentito solamente per i cittadini delle Repubbliche di Slovenia e d’Italia». Una tabella trilingue - in sloveno, italiano e inglese - posta sul bordo della strada, con un più che esplicito segnale di divieto di transito, non lascia spazio a fraintendimenti nel merito. La si vede bene all’ex valico di Basovizza - Lipizza, frontiera ufficialmente aperta solamente per gli abitanti delle due nazioni confinarie, ma che nelle ultime settimane, paradossalmente, viene scelta da un numero sempre maggiore di automobilisti che provengono dall’area balcanica.
Ufficialmente, infatti, chi arriva da qualsiasi nazione che non sia Slovenia o Italia, dovrebbe attraversare il confine solo in quelli che un tempo venivano considerati valici di caratura internazionale, quali Rabuiese, Pese, Fernetti e Sant’Andrea per la zona di Gorizia. Ma non sono in tanti a rispettare questa prescrizione. Anzi sotto il monte Concusso il viavai di autoveicoli provenienti dalle zone più disparate d’Europa nelle ultime settimane è paradossalmente aumentato.
I controlli della polizia confinaria slovena, ma anche italiana, da un mese a questa parte si sono limitati ai quattro valichi internazionali citati e che già erano parzialmente aperti nei mesi caldi della quarantena. Viceversa nei valichi minori la circolazione è ritornata ad essere completamente libera. Una situazione che evidentemente non è sfuggita a chi, pur non vivendo nella zona, ha comunque dimestichezza con i percorsi alternativi in entrata o in uscita dall’Italia.
«Il mantenimento dei controlli nei quattro valichi internazionali già aperti nel periodo di quarantena - facevano sapere dal consolato sloveno al momento della riapertura delle frontiere con l’Italia - è dovuto al monitoraggio degli eventuali automobilisti provenienti da aree dell’Europa ancora considerate a rischio». Un monitoraggio poco efficace, di fatto. Tante, infatti, sono le macchine di ogni parte d’Europa che transitano solo per Basovizza. Su tutte quelle serbe o svizzere, queste ultime plausibilmente appartenenti a lavoratori balcanici che in Svizzera ci lavorano. Ma a fare la spola fra Italia e Slovenia anche pulmini, se non vere e proprie autocorriere, con targa rumena e bulgara.
Non solo lavoratori, però. Anche i turisti non si fanno scrupoli ad attraversare l’ex valico posto sulla strada provinciale numero 10. Ungheresi, austriaci, francesi e belgi, chi in auto, chi in camper e anche in moto, passano senza batter ciglio. E probabilmente senza nemmeno accorgersi della tabella che vincolerebbe il loro passaggio. Tanti quindi i trasgressori in una domenica qualsiasi di fine luglio, ma anche due eccezioni che come al solito non fanno che confermare la regola. Una macchina tedesca, proveniente dalla Slovenia, si ferma sul confine e, alla lettura della tabella in trilingue dopo qualche minuto di indecisione decide di fare marcia indietro. Poco dopo una targata Trieste si ferma dalla parte italiana e mette le quattro frecce, chiedendo ad alcuni ciclisti fermi a bordo strada se è sicuro proseguire. Solo una volta rassicurati i triestini fin troppo ligi riprendono, seppur prudentemente, il proprio cammino verso la Slovenia. —