Coronavirus, Croazia pronta a imporre la mascherina al chiuso
In Serbia altri 266 casi positivi in più in 24 ore: Vučić rinuncia a decretare il coprifuoco a Belgrado. Paura in Slovenia ma la situazione è sotto controllo

BELGRADO Qualche luce, ma troppo tenue e circoscritta. E ancora tantissime, troppe ombre, mentre si lavora a nuove misure restrittive dalla Serbia alla Croazia. Che pensa alle mascherine obbligatorie al chiuso. Continua a preoccupare la situazione epidemiologica oltreconfine – e le tensioni politiche e di piazza che non scemano in Paesi come la Serbia, nella regione balcanica fra i più colpiti dalla ripresa dei contagi. Serbia dove ieri sono stati registrati altri 266 casi positivi in più nelle ultime 24 ore, in calo tuttavia rispetto ai 352 del giorno prima. Sempre alto il numero dei decessi (+11 ieri, fino a 352), così come la cifra degli attualmente positivi (3.339) e dei ricoverati in terapia intensiva (120). Numeri che non hanno tuttavia convinto le autorità a proseguire sulla via della reintroduzione del coprifuoco, rigida misura che era stata evocata dal presidente serbo Vucic martedì.
Ieri, l’unità di crisi serba per l’emergenza coronavirus ha infatti deciso, dopo giorni di tentennamenti e discussioni, di procedere solo con provvedimenti restrittivi dedicati a Belgrado, metropoli dove la situazione sul fronte virus è più critica, tra aumento dei malati e ospedali strapieni. Belgrado dove non ci sarà alcun coprifuoco come prospettato, ha annunciato la premier Brnabic, mentre si va verso il divieto di assembramenti al chiuso e all’aperto con più di dieci persone. Porte chiuse anche per ristoranti, caffè e centri commerciali a partire dalle 21 e fino alle 6 del mattino, dalle 23 se con spazi all’aperto. Decisioni che non hanno placato le proteste di piazza antigovernative, che anche ieri sera sono andate in scena a Belgrado e in altre città serbe. Più sereno invece il quadro della vicina Slovenia. Slovenia dove, su 1.271 tamponi effettuati mercoledì, solo 13 sono quelli che hanno evidenziato la positività al virus, il valore più basso dal 30 giugno scorso, ha informato il governo di Lubiana, che questa settimana ha iniziato a rinforzare i controlli sulle persone in quarantena. E ha deciso, come fatto poi da Belgrado, di limitare a un massimo di dieci persone gli assembramenti, ma con permessi particolari si può salire a 50 in caso di matrimoni, party privati o picnic. Rimane in vigore il limite di 500 persone per gli eventi culturali e sportivi.
Non ci sono invece troppi spazi d’ottimismo in Croazia, dove ieri i nuovi positivi sono stati ben 91 (3.416 in totale, 115 i decessi da inizio epidemia), uno dei dati più alti di sempre e in risalita rispetto ai 53 del giorno precedente, con gli attualmente positivi balzati a 978, un centinaio le persone in ospedale, tre in intensiva. La situazione è però sotto controllo, ha assicurato ieri il ministro della Salute croato Vili Beros, che ha descritto la Croazia come un Paese che ha dimostrato come sia «possibile continuare a convivere con il coronavirus in modo relativamente normale, pur tenendo i confini e le attività commerciali aperti» soprattutto in chiave turistica. Turismo che, tuttavia, continua a soffrire. Secondo gli ultimi dati ufficiali resi pubblici ieri, sulla costa adriatica croata ci sono al momento solo la metà dei turisti rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Nel frattempo, dopo l’obbligo imposto all’interno dei mezzi pubblici, Zagabria valuta di ordinare l’uso delle mascherine in tutti i locali al chiuso, hanno informato i media locali. La situazione desta allarme invece nella vicina Bosnia-Erzergovina, che ieri ha registrato altri 217 contagi (in totale 6.071 da inizio epidemia) e ben cinque vittime in più (200 in tutto), lo stesso numero di decessi registrato in Bulgaria nelle ultime 24 ore (+240 contagi), con Sofia che ha deciso nuove misure di prevenzione per contenere l’epidemia, prolungando lo stato d’emergenza fino a fine luglio e vietando il pubblico negli stadi. In ascesa i contagi anche in Macedonia del Nord (+166) e Albania (+82). Il quadro indubbiamente più grave è tuttavia quello della Romania, che ieri ha battuto ancora una volta il record del maggior numero di contagi (+614, ormai ai livelli del Regno Unito per incremento dei positivi). E ha registrato altre diciassette vittime per Covid-19. —
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