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Rotta balcanica, nuova ondata di migranti: a Trieste il Silos si ripopola di “fantasmi”

Una sessantina i rintracci di ieri. Il rudere torna a ospitare alcuni profughi che sfuggono ai controlli e alla quarantena

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TRIESTE Altri arrivi, numericamente impressionanti, a Trieste. Sono una sessantina i migranti rintracciati ieri tra Val Rosandra, San Dorligo e Mattonaia. È lo stesso numero, peraltro, registrato lunedì: a conferma che il flusso dalla rotta balcanica continua incessante e con un trend quotidiano preoccupante. In questi giorni è stata segnalata anche una decina di stranieri nuovamente all’interno del Silos, l’enorme rudere abbandonato che si trova a pochi passi dalla Stazione ferroviaria.

Lo scenario dentro al capannone è tristemente noto e si ripropone ormai da anni: persone che dormono per terra, nella sporcizia, in bivacchi di fortuna. Si tratta perlopiù di giovani afghani e pachistani che, da quanto si è saputo, riescono a sfuggire ai controlli delle forze dell’ordine che pattugliano i confini. Raggiungono il centro città senza essere identificati e quindi non vengono neanche sottoposti ai protocolli sanitari anti-Covid.

Di conseguenza, almeno al momento, non fanno parte della rete di accoglienza cittadina. Persone a cui nessuno ha ancora dato un nome e un posto dove stare. “Fantasmi”, si direbbe. Anche le tv nazionali in questi giorni stanno documentando questa situazione. Una troupe di Mediaset, ad esempio, l’altro ieri ha mandato in onda la testimonianza di due migranti intervistati in piazza Libertà: bengalesi giunti da poco a Trieste e che se ne sono andati dal campo di Santa Croce, dove invece avrebbero dovuto osservare le due settimane di quarantena fiduciaria. Così un ragazzo marocchino, pure lui scappato dal campo prima di concludere la profilassi e diretto a Milano. Questo, almeno, è quanto ha raccontato. I migranti, per andarsene, ricavano dei varchi sulla rete metallica che circonda la struttura e le tende di Santa Croce. In questi giorni non mancano gli episodi di cronaca. E, ancora, in piazza Libertà e dintorni, che si confermano zone di difficile controllo sotto il profilo dell’ordine pubblico. Dopo la rissa in via Cellini tra pachistani, avvenuta venerdì scorso, lunedì sera un ventottenne e un ventisettenne di nazionalità algerina hanno aggredito in piazza Libertà un tunisino. Lo hanno colpito con un pugno e con una bottiglia. Sono intervenuti i sanitari del 118 e i poliziottri della Volante della Questura. I due sono stati denunciati per lesioni personali aggravate e per non aver rispettato la quarantena alla quale erano sottoposti.

Il presidente dell’Ics Gianfranco Schiavone non nasconde le criticità nella gestione dei migranti. Ma invita nuovamente a focalizzare l’attenzione sul fenomeno delle riammissioni in Slovenia degli stranieri intercettati nei pressi dei confini. Un meccanismo annunciato dal prefetto Valerio Valenti, concordato con Lubiana, ma che Schiavone ritiene illegale. Di più. Il presidente Ics, in aperta contrapposizione con la Prefettura, parla di «deportazione». «Ciò che sta accadendo è agghiacciante sotto il profilo di uno Stato di diritto – spiega – ed è vietato dalle convenzioni internazionali. Ogni procedura di rinvio a un altro paese dovrebbe avvenire attraverso l’emanazione di un provvedimento motivato. Qui, invece, stiamo parlando di prelevamenti di polizia con cui i migranti vengono portati dall’Italia alla Slovenia».

Dalle ricostruzioni dell’Ics e di altre onlus emerge che dalla Slovenia le persone verrebbero poi rimandate in Croazia e quindi in Bosnia. «I migranti che hanno percorso la rotta balcanica vengono rispediti indietro – rileva Schiavone – e questo mi inqueta come cittadino. Perché, in pratica, le persone spariscono, vengono portate via attraverso quattro stati: Italia, Slovenia, Croazia e poi Bosnia, dove rimangono. Una catena di espulsioni senza traccia. Sono deportazioni». L’Ics preannuncia, a questo proposito, cause legali.—


 

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