Fim e Uilm dicono no alla “cassa Covid” da adottare alla Flex
«I componenti arrivano e Nokia ordina, è tempo di ripresa» I timori di una delocalizzazione “strisciante” a Timisoara

Massimo Greco
«Se Flex pensa di ricorrere anche alla Cassa integrazione Covid, dopo aver fruito della “cassa” ordinaria, si sbaglia di grosso. Fim e Uilm si opporranno, perchè è il momento del rilancio produttivo, non del sacrificio occupazionale».
Nonostante la tregua imposta dal Coronavirus, la tensione in uno dei più importanti stabilimenti industriali triestini, dove si producono apparecchiature elettroniche, torna a salire. Alessandro Gavagnin, segretario della Fim Cisl, e Antonio Rodà, parigrado della Uilm, hanno raccolto le preoccupazioni delle loro rappresentanze interne, frutto degli incontri avuti con la direzione aziendale.
«Non ci stiamo alla logica della Cassa integrazione “cronica”, per cui a giugno finiscono le 13 settimane ottenute a marzo e allora sotto con altre 9 settimane di “cassa” legata al Covid», esplodono Gavagnin & Rodà, una partnership sindacale proposta in numerose realtà del territorio. «Non ci stiamo - incalzano - perchè sono cambiate le condizioni. La “cassa” venne concessa a marzo perchè era cessato l’approvvigionamento di materiali dalla Cina, per cui la fabbrica era ferma». «Adesso ci risulta che i componenti dalla zona di Wuhan tornino a viaggiare, che il principale cliente Nokia abbia ripreso le commesse, che il sito produttivo romeno di Timisoara lavori a regime quasi normale», argomentano gli esponenti di Cisl e Uil. Allora, perchè Flex si ostina ad applicare l’ammortizzatore sociale?
La risposta, che Gavagnin & Rodà si danno, non promette niente di buono per Trieste: è la ricorrente “sindrome romena”, cioè il timore che, in virtù dei minori costi, lo stabilimento di Timisoara venga “premiato” con una delocalizzazione strisciante. Se la prospettiva è quella disegnata da Fim e Uilm, c’è di che preoccuparsi, in quanto Flex occupa 485 dipendenti diretti, cui si sommano un centinaio di lavoratori somministrati con contratto “staff leasing”. La congiuntura, caratterizzata dal fattore Covid 19, non consiglia certamente la messa in discussione di posti.
Negli ultimi mesi la situazione della fabbrica, controllata dalla multinazionale nordamericana Flextronics, non ha dato segni rassicuranti. Lo scorso anno 23 precari non sono stati rinnovati, il mercato aveva visto - prima del Coronavirus - una flessione del 10%, era saltato il turno della notte, i tre nuovi clienti - accennati al tavolo prenatalizio al ministero dello sviluppo Economico - non si sono visti neanche in cartolina. —
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