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Serbia, record di morti e nessun guarito

Grossi dubbi sulle reali capacità delle strutture poste in essere. Mancano i respiratori nonostante i proclami del presidente

Mauro Manzin
2 minuti di lettura
Soldati dell’esercito serbo mentre allestiscono un ospedale in un palasport. (rtvslo.si) 

Mauro Manzin / BELGRADO

La Serbia rischia una deriva italiana o spagnola di contagi da coronavirus. Anche se, per ora, il governo tace, molti cittadini hanno ricevuto questa notizia sui propri social da parte dell’Unità di crisi che sta fronteggiando l’epidemia nel Paese. Paese che ha visto in 24 ore 160 nuovi contagi e la morte di 28 persone tra cui il sottosegretario all’Ambiente, il chirurgo Branislav Blazic, residente a Kikinda uno dei focolai dell’epidemia in Serbia. Paese di cui non si sa con precisione qual è la situazione per quanto riguarda i respiratori e i posti in terapia intensiva. Tali dati per la Serbia, come per il resto dei Balcani, sono segreto di Stato.

Tuttavia il presidente Aleksandar Vučic ha dichiarato che la Serbia ha 1.008 respiratori, un dato esorbitante se si pensa che la Slovenia ne ha 168. Forse un esagerazione per celare il buco nero? Sta di fatto che una delle pressanti richieste di aiuto di Belgrado a Pechino è stata proprio l’invio di respiratori. Ma dai due aerei cargo atterrati nell’aeroporto della capitale serba sono stati sbarcati solo 18 respiratori dei 200 richiesti. E tra le 10 tonnellate di aiuti giunte dagli Emirati arabi di respiratori neanche l’ombra.

Nelle strade del Paese è già operativo da giorni l’Esercito anche per far capire alla popolazione che la situazione è grave davanti al nemico invisibile Covid-19. In Serbia infatti, la gente è convinta che se c’è l’Esercito allora vuol dire che non è il caso di scherzare. Il presidente ha annunciato nei giorni scorsi che avrebbe annunciato l’entrata in vigore del coprifuoco totale, ossia h 24, con 48 ore d’anticipo (non osiamo pensare alle resse ai supermercati).

Se mancano le principali dotazioni ospedaliere per fronteggiare il virus, mancano anche gli operatori sanitari e i medici necessari a combattere in corsia. Negli ultimi anni c’è stata una vera e propria fuga di massa di queste categorie dal Paese verso l’Europa centrale e la penisola scandinava a fronte della prospettiva di restare a casa e di ricevere stipendi da fame. Attualmente, almeno secondo quanto comunicato dalle autorità ufficiali, i contagiati in Serbia sono 1.060, con 28 morti ma con nessun paziente guarito, il che sembra confermare i dubbi sopra elencati. L’Esercito, aiutato dagli specialisti giunti dalla Cina dopo aver trasformato in ospedali da campo le varie sale che ospitavano le fiere, adesso inizia a trasformare in corsie d’ospedale anche le Case degli studenti, i palazzetti dello sport e le sale per i concerti. Da rilevare che gli ospiti della struttura ricavata nel padiglione fieristico di Belgrado e che sono i cosiddetti malati meno gravi si lamentano del freddo, di non avere acqua calda per potersi lavare e di una scarsa assistenza medica.

Medici che stanno facendo quanto è nelle loro possibilità e forse anche di più visto che sono loro i primi a non avere quelle dotazioni di sicurezza che sono indispensabili per operare in prima linea contro il coronavirus.

In Serbia sono stati evidenziati 4 principali focolai dell’epidemia e sono Belgrado, Cuprija, Niš e Valjevo, città per le quali il governo sta pensando di introdurre una “zona rossa” tipo Cologno in Lombardia, ossia l’isolamento totale. Ma isolare Belgrado significa isolare la Serbia, missione forse impossibile o addirittura suicida anche se fosse dispiegato l’intero esercito. —

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