Lavori sulla Villesse-Gorizia scavi in più per «risparmiare»
Mirarchi del Noe:«I prelievi di ghiaia in esubero servivano a ridurre gli acquisti di materiale dall’esterno del cantiere. Perizia geologica costruita a posteriori»

Dati diversi sui volumi di ghiaia tra il progetto definitivo, andato a base d’asta aggiudicato con il ribasso del 23%, e quello esecutivo relativo alla realizzazione dell’arteria stradale Gorizia-Villesse. Il fabbisogno mancante rispetto ai volumi indicati risultava maggiore nel primo piano rispetto al secondo. A parlarne in aula il maresciallo maggiore Vitaliano Mirarchi, che aveva eseguito le indagini coordinate dalla Procura, durante la nuova udienza davanti al giudice monocratico Fabrizia De Vincenzi. Il processo vede imputati Renzo Pavan, quale direttore Area realizzazione Autovie Venete, Enrico Razzini, allora responsabile unico del procedimento all’interno della struttura commissariale dell’asse autostradale Gorizia-Villesse, Piero Petrucco, legale rappresentante della Icop, tutti difesi dall’avvocato Luca Ponti, Eddi Tomat, legale rappresentante della società Impresa Tomat Spa, sostenuta dall’avvocato Nicola Caruso, Michele Zodio, legale rappresentante della Friulana Bitumi Srl (nel frattempo fallita), rappresentata dall’avvocato Tapparo. Tomat Spa e Friulana Bitumi Srl sono difese dall’avvocato d’ufficio Elisa Moratti. L’ipotesi di accusa è quella di frode nell’esecuzione degli obblighi contrattuali dell’appalto. Secondo i Noe, coordinati dalla Procura con il pubblico ministero Valentina Bossi, l’Associazione temporanea d’impresa (Ati) facente capo al Consorzio Fvg 5 avrebbe «posto in opera i rilevati stradali con materiali del tutto privi di certificazione d’origine e provenienti da scavi abusivi rispetto al progetto approvato dal Cipe». Il teste ha fornito un complesso e dettagliato quadro in ordine a quanto rilevato durante le indagini, scaturite in seguito al monitoraggio disposto dal Comando del Noe delle infrastrutture a forte impatto, in base alla legge Obiettivo numero 43 del 2001. Erano 56 le vasche da scavare. Ognuna a fronte di specifico progetto, con le dimensioni, larghezza, lunghezza, profondità e la posizione lungo l’asse stradale, per entrambe le direzioni. I Noe avevano constatato che l’opera era divisa per lotti, che non venivano realizzati dalle stesse ditte. A proposito del ribasso al 23%, il teste ha sostanzialmente risposto al pm Bossi in rapporto all’asporto maggiore della ghiaia: l’esubero di materiale era per risparmiare sull’acquisto all’esterno del cantiere. Poi le dodici «buche extraprogetto e mai valutate», i siti erano stati posti sotto sequestro.
Materiale prelevato in surplus non certificato per quell’utilizzo, ha spiegato il teste rispondendo anche alla richiesta di chiarimenti delle difese, precisando peraltro, a domanda dell’avvocato Luca De Pauli – in aula, assieme all’avvocato Nicola Caruso, ha sostituito tutti gli altri legali – che in relazione alle 56 vasche era successivamente sopravvenuta una variante. Altre “anomalie” in ordine al materiale in entrata nel cantiere, la terra di roccia, da certificarsi in partenza e in arrivo. Materiale che era andato a integrare il volume di ghiaia estratto in esubero dalle vasche. Inoltre, ha sempre spiegato il teste, i 12 siti di scavo individuati non erano autorizzati, e comunque se sanabili anche questi attraverso una variante, questa sarebbe dovuta intervenire prima della effettuazione dei lavori. S’è poi fatto riferimento ad una perizia geologica, fatta eseguire al termine delle opere, «costruita a posteriori per giustificare i lavori di scavo superiori rispetto a quelli previsti da progetto».—
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