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Croazia, una poltrona per tre: domani le presidenziali

Se la vedranno l’uscente Grabar Kitarović, il socialdemocratico Milanović e il populista di destra Škoro. Ballottaggio il 5 gennaio. Il peso della diaspora

Mauro Manzin
2 minuti di lettura

TRIESTE Una poltrona per tre. Dopo mesi di una lunghissima ed estenuante campagna elettorale a contendersi la carica di presidente della Repubblica di Croazia, eletto a suffragio universale, saranno il capo dello Stato uscente Kolinda Grabar Kitarović (Hdz), l’ex premier Zoran Milanović (Sdp) e l’ex diplomatico e cantante Miroslav Škoro (destra populista). Per gli altri otto contendenti sulla carta solo briciole.

Domani 3.854.747 aventi diritto al voto si recheranno alle urne per il primo turno, dal quale usciranno i nome dei due candidati che si contenderanno la carica al ballottaggio previsto per il 5 gennaio del 2020. E sarà una battaglia all’ultimo voto visto che gli ultimi sondaggi mostrano una situazione innanzitutto impensabile solo un mese fa, con Milanović che sorpassa Grabar Kitarović, ma soprattutto vede i tre super favoriti divisi da una manciata di voti. I numeri parlano chiaro: Zoran Milanović viene dato al 25,97% delle intenzioni di voto, Kolinda Grabar Kitarović lo segue a un’incollatura con il 25,31%, terzo Miroslav Škoro con il 23,75%. Il quarto, per rendere l’idea della situazione, Mislav Kolakušić raccoglie appena il 6,10% delle preferenze. Da notare che i croati della diaspora che avranno diritto al voto, se nel 2014 erano 8.328, quest’anno saranno 176.843, vuoi per la “grande fuga”, alla ricerca di lavoro e condizioni di vita migliori che ha caratterizzato il trend demografico della Croazia nell’ultimo quinquennio, vuoi perché la legge elettorale che è stata emendata e per cui fuori dai confini croati basta presentare una carta d’identità con la scacchiera per diventare automaticamente elettori a pieno titolo. E questi sono voti che storicamente vanno all’Hdz, il partito fondato dal padre-padrone della Croazia, il primo presidente Franjo Tudjman, e che in teoria dovrebbero essere appannaggio di Grabar Kitarović.

Il suo avversario più accreditato Zoran Milanović punta invece, e lo ha fatto per l’intera campagna elettorale, a riunificare i vari rami del centrosinistra del Paese per opporsi così alla destra accadizetiana e al populismo crescente. A detta degli analisti croati, Milanvoić ha svolto una campagna elettorale molto seria, ha battutto ogni angolo della Croazia con il suo messaggio di voler contribuire alla costruzione di un Paese serio, rispettato e capace di creare sviluppo entro i suoi confini per evitare ai giovani di dover andare all’estero per costruirsi un futuro.

Più che ai contenuti del messaggio politico di Grabar Kitarović, la sua campagna elettorale esercitata anche da un posto di estrema visibilità, come quello del capo dello Stato in carica, è stata caratterizzata alla fin fine unicamente dalle sue incredibili gaffe e battute a dir poco comiche che i social non hanno mancato di rilanciare con gli immancabili post di sfottò e di battute umoristiche. La ciliegina sulla torta è stata la promessa ai giovani di posti di lavoro da 8 mila euro al mese che avrebbero guadagnato, sempre se lei fosse rieletta presidente, operando comodamente da casa dopo un periodo di tempo trascorso in Israele per uno stage formativo. Gli accordi con Neatanyahu li garantisce Kolinda. Peccato che Netanyahu, almeno per ora, non è più premier e che lo stipendio massimo di un informatico a Tel Aviv è di 5 mila euro mensili. Per non dimenticare la perla: «Luka Mordić (il calciatore della nazionale croata e del Real Madrid ndr.) è come mio figlio, il mio Lukica». Con i social letteralmente impazziti.

Miroslav Škoro, infine, cavalca l’onda del populismo che sta attraversando l’Europa, soprattutto quella dell’Est, negli ultimi mesi. Volto conosciutissimo, si presenta bene in tv ma ha sconcertato l’opinione pubblica quando ha sostenuto che solamente un furto di voti gli avrebbe impedito di andare al ballottaggio. Škoro resta l’incognita da scoprire all’apertura delle urne domenica sera.

Se Grabar Kitarović non dovesse essere rieletta al colle del Pantovčak si metterebbe male anche per il suo mentore Andrej Plenković, premier e leader dell’Hdz, partito nel quale da mesi oramai volano coltelli ad altezza uomo. —


 

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