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Cecilia Seghizzi aspetta il giorno dell’onomastico e poi a 111 anni dà l’addio

Poco dopo la mezzanotte di ieri, Santa Cecilia patrona della musica, si è spenta nella casa di via Pascoli la compositrice, pittrice e didatta che guardava al futuro

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Centoundici anni: tanti davvero. Ma il destino ha voluto che la lunga esistenza di Cecilia Seghizzi si interrompesse proprio ieri, giorno di Santa Cecilia, patrona della musica. Oltre che dedicarsi alla composizione (come suo padre, Augusto Cesare), era anche pittrice (acquarellista) e didatta. Per Gorizia, per il territorio tutto, non costituiva “soltanto” un’artista, ma un simbolo vero e proprio. Pure chi non la conosceva faceva il tifo per lei, sperando che potesse superare il traguardo. “Ad oggi è la quarta persona vivente più longeva d’Italia” riportava ieri Wikipedia, prima di aggiornare la mappa nel pomeriggio: assistita dalla badante Alina, la signora Cecilia è deceduta nella propria abitazione di via Pascoli, poco dopo la mezzanotte di ieri. Giusto in tempo per il suo onomastico.

Era nata il 5 settembre 1908, esattamente cinque mesi dopo Herbert von Karajan, leggendario direttore d’orchestra. Nelle ultime due settimane le sue condizioni avevano risentito di un peggioramento. Eppure, aveva mantenuto fino all’ultimo la lucidità, continuando a ricevere le visite degli amici tra cui quella, ieri l’altro, dell’ex presidente della Fondazione Carigo, Gianluigi Chiozza. È chiaro che, nel contribuire alla sua popolarità, l’età longeva aveva rivestito un ruolo determinante. Lei, tuttavia, il giorno del compleanno non lo amava, e così i festeggiamenti, le candeline che si spegnevano sempre più numerose fino a diventare troppe per potersi contare: un pizzico di sano narcisismo l’aveva mantenuto. Avrebbe voluto che si parlasse di lei quale pittrice, quale musicista, quale donna, non come ultracentenaria. In fondo, più che il rigore, la serietà, le qualità che aveva dimostrato nell’arte e nell’insegnamento, colpiva in lei l’entusiasmo, lo slancio, la gioia nei confronti della vita. Aveva conosciuto l’esperienza del campo profughi di Wagna, in Stiria, durante il primo conflitto mondiale. Da allora, gli eventi del secolo scorso e quelli di inizio millennio l’avevano vista testimone in una città, Gorizia, che di storia ne ha macinata tanta, non sempre felice.

Lei, però, la signora Cecilia aveva sempre guardato avanti e della propria esistenza era sempre stata la protagonista: l’aveva vissuta tutta, fino alla fine, mai l’aveva subita. Il matrimonio, per esempio, con Luigi Campolieti, pure lui musicista, era stato celebrato in un’età che, per molti, è quella dell’autunno, se non dell’inverno. E l’uso del computer l’aveva appreso quando altri sono costretti a mettere cervello e corpo a riposo. Come se ciò non bastasse, fino a 108 anni trascorreva le vacanze a Grado, dove aveva un appartamento. Per il resto, amava le camminate in montagna, la lettura. Proprio per l’amore nei confronti della vita che sempre manifestava, aveva finito per diventare anche un esempio per i giovani. Nel 2006, aveva ricevuto il premio “Santi Ilario e Taziano” e già nel 1990 il Premio San Rocco, ma le luci della ribalta, tuttavia, non si erano per lei accese spesso: preferiva la sobrietà, il lavoro alla vita mondana. Negli ultimissimi anni, di casa non usciva più. Eppure, riusciva ancora a far sentire la propria voce, come quando prese recentemente posizione sulle tristi vicende dell’Istituto di musica: di gridare non aveva mai bisogno, come quanti possiedono il dono dell’autorevolezza. —

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