L’Ungheria al voto per i sindaci, opposizioni unite contro Orbán
In ballo tremila primi cittadini, test dopo le sette vittorie del partito del premier A Budapest le forze di minoranza coalizzate attorno a un candidato unico
Stefano Giantin
Il voto per le amministrative viene a volte considerato una tornata elettorale minore. Ma il giudizio cambia se esso introduce scenari nuovi, con un’opposizione solitamente divisa e conflittuale che riesce invece a coalizzarsi – in circa metà delle città in palio - per scalzare gli uomini del “padre-padrone” della patria, tra scandali mai visti. Anche a luci rosse. Scenari che si osservano nell’Ungheria del premier Viktor Orbán, da oltre un decennio imbattibile trionfatore alle urne.
Qualcosa potrebbe cambiare nel Paese, dove si va oggi al voto per rinnovare le amministrazioni locali: in gioco le poltrone di circa 3.100 sindaci e 16 mila consiglieri. Si tratta di un passaggio decisivo per capire in che direzione va il Paese, un test sia per Orbán e il suo Fidesz sia per i partiti oggi in minoranza, che ambiscono a conquistare la capitale e altre importanti città sostenendo candidati congiunti - dopo sette sconfitte consecutive nelle precedenti elezioni nazionali e locali - per poi magari ripetere lo schema al voto generale del 2022.
Il modello delle opposizioni è quello turco di Ekrem Imamoglu, capace di sconfiggere il cavallo di Erdogan a Istanbul. O quello più locale di Hodmezovasarhely, cittadina magiara dove in una consultazione nel febbraio scorso ha trionfato Peter Marki-Zay, candidato indipendente, sostenuto da tutte le forze d’opposizione, dagli ecologisti e liberali fino all’ex estrema destra di Jobbik. Una prospettiva simile, negli auspici degli avversari del premier populista, dovrebbe concretizzarsi a Budapest, dove la corsa per la vittoria è serratissima. Corsa che è a due, tra l’attuale sindaco Istvan Tarlos, alleato di Orbán, e Gergely Karacsony, giovane ex accademico prestato alla politica che preoccupa molto Fidesz. I partiti di opposizione» che lo sostengono, cinque di sinistra, verdi e liberali, hanno finalmente realizzato che «la cooperazione è la chiave del successo», ha dichiarato Karacsony, quotato da alcuni sondaggisti come possibile trionfatore a sorpresa. E la vittoria degli uomini del Fidesz non sarebbe così scontata neppure in altre località-chiave, come Miskolc, Pec, Gyor e neanche in tanti dei 23 distretti che costituiscono la stessa Budapest.
Il verdetto finale arriverà solo a urne chiuse. Ciò che è certo è che la campagna elettorale per queste amministrative sarà ricordata come una delle più controverse della storia dell’Ungheria post-1989. A far molto discutere sono delle registrazioni segrete di una riunione dell’entourage di Karacsony in cui si parlava male dei Socialisti, un fatto grave che è stato battezzato il “Watergate ungherese”; ma anche strane perquisizioni contro un candidato dell’opposizione a Budapest, manifesti elettorali della minoranza imbrattati con feci, pacchi-dono (con salsiccia e patate) donati da Fidesz ai pensionati di Budapest.
A colpire di più tuttavia è stato un video che ritraeva Zsolt Borkai - ex campione olimpico in corsa per Fidesz come sindaco di Gyor - in compagnia di prostitute. Una clip hot che ha provocato sconcerto. Ma anche ironia: quella del partito Momentum, che ha coniato lo slogan «fondi pubblici, cocaina, puttane» per prendere in giro quello originale di Fidesz (Dio, nazione, famiglia). Ma di un episodio speculare è stato involontario protagonista Tamas Wittinghoff, esponente dell’opposizione. Tutti segnali indiretti che la posta è altissima, e il gioco per vincere davvero sporco. —
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