TRIESTE I triestini si curano sotto casa. A Gorizia, nella Bassa friulana e soprattutto a Nord della regione si va spesso altrove, pur se nei confini del Friuli Venezia Giulia. Riccardo Riccardi rende noti i dati della mobilità extraziendale di alcune prestazioni sanitarie specialistiche. Nel dettaglio, la Cardiologia e la Medicina fisica e riabilitazione dell’AsuiTs curano pazienti “propri” nel 98,9% dei casi. La Dermosifilopatia (malattie della pelle e malattie veneree) ha un valore ancora più alto: 99,2%. L’endocrinologia è in coda, ma siamo comunque al 92,5%. Valore molto anche per l’oculistica (98,5%) e per la diagnostica per immagini (97,7%), con gastroenterologia-chirurgia al 94,2%.
“Fuga” decisamente superiore in Alto Friuli, dove l’oculistica segna il record del 63,2% del bacino che esce dal perimetro, ma anche l’AsuiUd è al 31,6% per la gastroenterologia e al 20,6% per la diagnostica per immagini. Nel Pordenonese, invece, le prestazioni in loco sono le preferite.
Una fotografia molto chiara, sottolinea l’assessore regionale alle sanità Riccardo Riccardi. La causa? Il rapporto hub e spoke, quello tra i grandi ospedali e i presidi territoriali. «Non puoi lasciare quel tipo di relazione solo sulla carta di una legge - commenta Riccardi pensando alla riforma della scorsa legislatura, quella approvata dal centrosinistra -. Hub e spoke si integrano solo quando le strutture funzionano insieme. Se appartengono, al contrario, ad aziende diverse, le cifre della mobilità non possono essere troppo diverse da quelle che abbiamo sotto i nostri occhi». La soluzione? «Mettere appunto hub e spoke all’interno delle stesse aziende consentirà di aggiustare i flussi – assicura l’assessore –. Dopo di che i ragionamenti più complicati riguardano i flussi che entrano ed escono dalla regione. Altro grande problema».
Riccardi cita il recente rapporto della Fondazione Gimbe, in cui emerge che la mobilità sanitaria vale per il Fvg 90 milioni di euro in entrata e 83,2 in uscita, con un saldo positivo di 6,8 milioni. Un dare e un avere con compensazioni effettuate secondo regole e tempistiche definite da un protocollo Stato-Regioni per rendicontare 7 flussi finanziari: ricoveri ospedalieri e day hospital (differenziati per pubblico e privato accreditato), medicina generale, specialistica ambulatoriale, farmaceutica, cure termali, somministrazione diretta di farmaci, trasporti con ambulanza ed elisoccorso. C’è dunque la mobilità attiva che identifica le prestazioni erogate da ciascun Servizio sanitario per i non residenti: in termini di performance esprime il cosiddetto “indice di attrazione” e in termini economici identifica i crediti esigibili. E la mobilità passiva che esprime invece l’“indice di fuga” e identifica i debiti.
Sulla base del documento approvato con l’intesa Stato-Regioni dello scorso 6 giugno, che tiene anche conto degli accordi su conguagli e partite regolatorie rimaste in sospeso negli anni precedenti, in testa c’è la Lombardia (+784,1 milioni), poi Emilia Romagna (+307,5), Veneto (+143,1) e Toscana (+139,3). Il Fvg (+6,8 milioni, ridotti a 6,1 per alcune rettifiche rispetto agli anni precedenti) rientra tra le regioni con saldo positivo minimo. In coda Puglia (-201,3 milioni), Sicilia (-236,9), Lazio (-239,4), Calabria (-281,1) e Campania (-318).
Per quel che riguarda la regione, nella lettura dell’assessore «c’è meno gente in entrata rispetto al passato e molta gente che esce, soprattutto verso strutture convenzionate con il servizio sanitario pubblico di altre regioni. Questo perché il Fvg, con la presunzione che si possano fare le stesse cose in strutture diverse, non ha saputo individuare sin qui dei poli nei quali concentrare determinate attività». Una rotta da invertire: «Tutto dappertutto non si può avere, altrimenti il modello non funziona. Se nella Bassa friulana un cittadino su tre non va negli ospedali di Palmanova e di Latisana significa che siamo costretti a cambiare. E il cambiamento passa attraverso la specializzazione. Per aumentare la casistica e attirare i migliori professionisti». —