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L’Europa divisa su Tirana e Skopje: ancora al palo l’avvio dei negoziati

Dall’Olanda l’ultimo stop. Nel vuoto l’appello lanciato da 13 paesi contro il rischio di destabilizzazione

Stefano Giantin
2 minuti di lettura

TRIESTE Un’Europa spaccata, con un gruppo di Paesi forti che dettano la linea e gli altri che cercano di convincerli a scendere a più miti consigli, senza riuscirvi. La posta è la credibilità della Ue in una regione, quella dei Balcani, che ancora guarda all’adesione con speranza, ma che incassa troppe cocenti delusioni. Delusioni come quelle con cui dovranno fare i conti Albania e Macedonia del nord, Paesi che hanno attuato riforme dolorose e faticose, ma che con altissima probabilità non festeggeranno l’avvio dei negoziati d’ingresso nella Ue a fine mese, come credevano.

Molti segnali da tempo disegnano questo quadro. Gli ultimi arrivano dai Paesi Bassi, dove il Parlamento ha votato l’altra notte una risoluzione che di fatto blocca ogni prospettiva di aprire subito i negoziati con l’Albania «a causa degli insufficienti progressi nella lotta alla corruzione e al crimine organizzato», ha informato la Tanjug. A mettere invece i bastoni tra le ruote a Skopje, ma anche a Tirana, c’è invece la Germania, sostenuta in questo da Francia e Danimarca. A confermarlo è stato personalmente il premier macedone Zoran Zaev, dopo un incontro con Angela Merkel. Niente via libera a giugno, ha ammesso Zaev ricordando che la Cancelliera ha dato atto che «la Macedonia del Nord ha soddisfatto le aspettative» di Berlino, ma che il Bundestag solo «a settembre approverà l'avvio del negoziato di adesione con la Ue», con un via libera Ue ai negoziati dunque in agenda solo in autunno, a meno di sorprese.

Che il quadro sia veritiero è stato confermato a Radio Europa Libera da «fonti informate» nella Ue. Nessuna luce verde la settimana prossima, manca l’unanimità tra i Paesi membri, ha fatto sapere Radio Europa Libera, specificando che nella bozza del testo che sarà «adottato alla riunione ministeriale» Ue il 18 giugno tutto viene rimandato a dopo l’estate.

Sembrano dunque cadute nel vuoto le invocazioni rivolte da un gruppo folto di nazioni europee, che nei giorni scorsi hanno fatto «appello ad aprire i negoziati di adesione con Albania e Macedonia del nord» a giugno. Fra i tredici firmatari, oltre all’Italia, Cechia, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania, Ungheria, Bulgaria, Polonia, Malta, Croazia e Slovenia e anche l’Austria, sempre attenta alle dinamiche balcaniche. L’appello conteneva anche un severo richiamo. Ulteriori ritardi sono rischiosi e potrebbero lasciare spazio a «interessi esterni negativi», oltre a destabilizzare i due Paesi. È proprio questa la paura, a Skopje, dove il premier Zaev ha di recente ammonito che se la Macedonia del nord «riceverà un no dalla Ue, il mio governo potrebbe cadere. E l’Ue perderà credibilità tra i nostri cittadini, una speranza per le forze nazionaliste», ma anche per populisti ed euroscettici. Sulla stessa linea anche il neo-presidente Pendarovski, che ha ribadito che Skopje «ha fatto i compiti, siglato l’accordo con la Grecia» per il cambio di nome, «un miracolo politico» da premiare, come promesso.

Più complessa la situazione nell’Albania incendiata dalle violente proteste di piazza dell’opposizione, ma i rischi sono simili. I Balcani sono come «un organo» parte del corpo europeo e l’Ue deve decidere se «lasciarlo dissanguare» o meno, creando problemi a tutto l’organismo, ha dichiarato il premier albanese Edi Rama chiedendo a Bruxelles di «agire strategicamente». Ma i messaggi non sembrano aver colto nel segno, come ha ammesso il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk: «Voglio essere onesto: non tutti gli Stati membri sono pronti a prendere la decisione di aprire i negoziati», almeno nei prossimi giorni. Con la speranza che, in autunno, gli europeisti siano ancora saldi al potere, a Skopje e soprattutto a Tirana. —


 

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