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La stretta di mano Bono-Landini: «Patto sul lavoro, o l’Italia è finita»

L’ad di Fincantieri: «Abbiamo perso due generazioni, forse tre. Serve un’Europa più coesa». Il leader Cgil: «Mancano gli investimenti. E le diseguaglianze sono aumentate»

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TRIESTE. «Al governo dico che non basta un pannicello caldo per curare una polmonite. Questo Paese se non ritrova il gioco di squadra finito. Non sappiamo più immaginare il futuro industriale dell’Italia nei prossimi vent’anni»: il numero uno di Fincantieri Giuseppe Bono parla al fianco del segretario generale della Cgil, Maurizio Landini e sembrano gemelli diversi. Il match fra supermassimi dell’economia ieri a Trieste voluto dagli organizzatori di Link, il festival del giornalismo in corso a Trieste, potrebbe infatti passare alla storia.

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La visione del capo della più importante industria pubblica italiana e del segretario generale della Cgil erede di Susanna Camusso finiscono per coincidere, assomigliarsi, superando decenni di contrapposizioni. Come se negli anni Settanta Gianni Agnelli e Luciano Lama concordassero su tutto o quasi: salari, scala mobile, punto di contingenza. Tutti e due d’accordo: la mancata crescita del Paese si supera con un patto fra industria e sindacato. Non un nuovo consociativismo ma la consapevolezza di un’emergenza.

Naturalmente non c’è una identificazione totale sui temi (ad esempio sulla visione dello storico contratto di Fincantieri siglato proprio da Landini come controparte) ma nella diagnosi sullo stato dell’Italia i due sono affini e non solo nell’abbigliamento con il pullover blu sotto la giacca. Il match comincia con Bono e Landini che si salutano calorosamente. E non sono affettuosità irrituali. D’altra parte Landini era già intervenuto a sostegno di Bono quando sembrava che la politica volesse mettersi di traverso alla sua riconferma al vertice del colosso triestino. E anche ieri ha reso omaggio al manager che «si preoccupa di fare industria e non guarda ai giochi della finanza».

Ma non c’è solo questo. Bono ribatte sul nodo della formazione: «In Italia abbiamo perso due generazioni e rischiamo di perdere la terza». Landini parte in quarta accusando «la politica economica del governo di essere totalmente insufficiente per fare ripartire gli investimenti». Il tono è incalzante: «Avevano annunciato 15 miliardi di investimenti pubblici all’anno e finora ha stanziato solo 1,5 miliardi. Intanto siamo alla crescita zero con 150 tavoli di crisi fermi da mesi al ministero dello Sviluppo. Le politiche sociali ed economiche di questo governo non vanno bene». La sintonia emerge poi dall’elogio dell’industria pubblica di Landini che vorrebbe «una agenzia pubblica per lo sviluppo con un piano straordinario di investimenti».

C’è un filo spezzato fra esecutivo e Cgil: «Questo è un governo che non sta governando, continua a litigare su tutto e non ci ascolta. Non si fa nulla per combattere l’evasione fiscale quando in Italia la ricchezza patrimoniale è quattro volte il debito pubblico ed è in mano al 10% dei cittadini». Nel frattempo «aumentano le disguaglianze e la precarietà».

La Cgil si prepara a un autunno di manifestazioni. Landini a chiare lettere descrive il ruolo strategico nel’impresa pubblica nel governo dell’economia lanciando continui assist al capo di Fincantieri, uno dei pochi grandi gruppi che non si sono estinti. Il capo della Cgil riconosce il ruolo sistemico del gruppo anche per l’economia del Friuli Venezia Giulia: «Serve più impresa pubblica perchè da vent’anni manca un vero disegno di politica industriale in Italia. Intanto la preoccupazione principale del governo è quella di chiudere i porti». Ragiona il capo di Fincantieri: «Il Paese ha perso la cultura del lavoro trascurando la formazione e la necessità di garantire un futuro ai giovani. Ci siamo dimenticati delle periferie e non sappiamo più immaginare un futuro per il nostro Paese che è destinato ad andare a picco. Ci limitiamo a gestire aree di crisi».

[[(gele.Finegil.Image2014v1) Link, incontro con, Bono e Landini]]

Aggiunge Landini: «Oggi la parola lavoro significa paura e precarietà. La povertà crescente rompe la coesione e la solidarietà sociale. Bisogna tornare a un compromesso fra occupazione, stato sociale e crescita come ci ha insegnato l’Europa». Completa la frase Bono: «Siamo tutti europei oppure no? Non siamo più capaci di interpretare il presente, e c'è persino qualcuno che vuole abolire lo studio della storia: ma quale senso di responsabilità ha questa classe dirigente?». Le elezioni europee incombono. Bono si augura un’Europa «più coesa anche dal punto di vista fiscale, della difesa, della politica estera e monetaria».

E anche il leader della Cgil ricorda il ruolo di Fincantieri in Europa con il progetto europeo di Bono impegnato nella partita francese su Stx. «I francesi ci vogliono perché siamo i più bravi-chiarisce Bono. Francia e Germania hanno già stretto accordi nell'ambito della difesa terrestre e aeronautica senza chiamare l'Italia. Invece, ci vogliono in una alleanza europea navale perché riconoscono che siamo i più bravi». Sulle capacità di Fincantieri è intervenuto anche Landini il quale ha «riconosciuto come il gruppo si sia espanso sui mercati internazionali mantenendo nel contempo i siti nazionali e anzi investendo in Italia con una logica industriale», a differenza «di quanto hanno fatto altre realtà, come la Magneti Marelli».

«L’Italia deve tornare a produrre ricchezza nel mondo. Abbiamo più università che studenti e siamo il Paese con meno laureati. Quale Europa vogliamo avere?», conclude il Ceo di Fincantieri favorevole a un «patto» fra mondo produttivo e sindacato. «Abbiamo recentemente fatto accordi con Confindustria e anche con tutte le associazioni e stiamo chiedendo che quegli accordi vengano applicati. Sicuramente anche le imprese devono ricominciare a fare investimenti, perché c'è stato un caos sulla ricerca, sull'innovazione», chiarisce Landini. Per Landini, però, c'è una questione priopritaria: «Fare un accordo di questa natura deve avere un elemento centrale, basta precarietà sul lavoro, basta riduzione dei diritti».

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