Veleni e giochi di potere. La trama che blocca l’Università popolare
Esattamente un mese fa veniva commissariata l’Università popolare di Trieste. Un provvedimento deciso da Farnesina e giunta regionale per tentare di far uscire l’ente da un’impasse dai risvolti amministrativi e giudiziari ancora tutti da chiarire, ma maturata in un contesto politico ben preciso. Un ramificarsi di eventi che affonda le sue radici lontano da piazza Ponterosso, dove l’ente nato nel 1899 ha la sua elegante sede. E che coinvolge non solo Trieste, ma anche Roma e l’area d’oltreconfine

Con Serracchiani finisce l'era Delbello
[[(Video) Upt, tra veleni e giochi di potere: come si è arrivati al commissariamento]]
Secondo diverse fonti ben informate i problemi contabili dell’Upt hanno origine indietro nel tempo, ma la storia che qui interessa raccontare ha invece un inizio ben preciso e identificabile. È il principio del 2014, quando alla presidenza dell’istituto viene eletto Fabrizio Somma.

Finisce così l’epoca di Silvio Delbello, esponente dell’ala più conservatrice di destra del mondo dell’esodo, che da tempo si era installata alla guida dell’ente, dopo decenni di “equidistanza” democristiana contrassegnata dalla lunga stagione di Luciano Rossit. Il cambio al vertice è colto da tutto il mondo degli italiani dell’Adriatico orientale come una svolta. L’anno prima il Partito democratico guidato da Debora Serracchiani ha conquistato la Regione Friuli Venezia Giulia, e l’approdo di Somma all’Upt viene letto da tutti come l’adeguamento dell’ente al nuovo equilibrio politico venutosi a formare.
[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Università Popolare Somma nuovo presidente]]
In fondo il neopresidente fino al gennaio del 2013 era dipendente dell’Upt, e ne era stato licenziato da Delbello, ufficialmente per «questioni di costi». Vi rientra nel giugno dello stesso anno in veste di delegato della Regione, scelto da Serracchiani in seguito a un ragionamento condotto assieme all’allora assessore alla Cultura Gianni Torrenti e ai parlamentari dem Ettore Rosato e Francesco Russo (così riportavano i quotidiani al tempo).
[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Università Popolare, esce Piero Delbello]]
Da lì Somma dà il via alla sua scalata alla presidenza. Si tratta comunque di uno spostamento “a sinistra” molto relativo. Somma ha come vicepresidente Manuele Braico, capo delle Comunità istriane e certo non imputabile di pendere da quella parte, pur essendo un convinto uomo del dialogo. Lo stesso presidente proviene politicamente dal centrodestra, ed è approdato al Pd venendo da Forza Italia. Su di lui però pesa l’accusa dell’ala più conservatrice, risalente al 2011, di aver «portato in bus gli italiani di oltreconfine a votare per conto del Pd». Fatto che Somma ha sempre negato in questi termini.
[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) La nomina di Somma all’Upt spacca il mondo degli esuli]]
La presidenza di Somma all’Upt è caratterizzata da una volontà di ridisegnare la mappa dei rapporti nel mondo degli italiani dell’Adriatico orientale. Secondo quanto stabilito dalla legge 73 del 2001, l’Università popolare è il tramite attraverso cui passano i fondi stanziati dal ministero degli Esteri e dalla Regione per le comunità di lingua italiana della Slovenia, della Croazia e del Montenegro. Fondi che poi vengono distribuiti alle comunità locali attraverso l’Unione italiana. Si tratta di un sistema statico che, secondo molti detrattori dei “rimasti”, ha contribuito a produrre rappresentanti di lunghissima durata, dagli eletti italofoni nei parlamenti di Slovenia e Croazia fino ai vertici della stessa Unione italiana.
In quel periodo la giunta regionale di centrosinistra e il governo Renzi valutano un modo per riequilibrare questo sistema. La Regione Friuli Venezia Giulia decide di intervenire attraverso il comma 3 dell’articolo 27 bis della nuova legge sulle “Norme regionali in materia di attività culturali” (16 del 2014): «La Regione è autorizzata a delegare all’Università popolare di Trieste l’esercizio di funzioni amministrative relative agli interventi contributivi a favore dei soggetti rappresentativi del gruppo etnico italiano dei Paesi dell’ex Jugoslavia».

Ciò comporta, alla fin fine, un nuovo metodo di distribuzione del finanziamento alle comunità proveniente dalla Regione (circa 500 mila euro annui a cui vanno ad aggiungersi i 4, 5 milioni dati in media da Roma, poi aumentati nel 2018): l’Università popolare diventa l’ente incaricato di selezionare i progetti presentati dalle realtà d’oltreconfine. Ne consegue una reazione fortemente polemica da parte dell’Unione italiana, che si vede così parzialmente “esautorata”, pur continuando ad aggiudicarsi buona parte dei fondi regionali con i suoi progetti.
Negli anni successivi questo nuovo stato di cose inasprisce i rapporti fra l’Ui e l’Upt, nonché tra le comunità stesse e l’Unione. I rallentamenti nell’erogazione dei fondi vengono imputati all’Upt, che finisce nel mirino di tutti. Nel marzo del 2018 la polemica non si è ancora spenta, tanto che l’assessore Torrenti dichiara alla stampa: «l’Unione Italiana è potenziale beneficiaria e destinataria di contributi, al pari di altre associazioni, a fronte della presentazione di progetti ritenuti meritevoli. Nel 2017 l’Unione Italiana ha vinto quasi tutti i bandi vedendosi assegnata a propri progetti per ben 429.324 euro su 510.000 euro disponibili».
[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Fondi all’Unione Torrenti: «Fvg rispetta la legge»]]
Il ruolo dell’Upt, però, non cambia soltanto nei confronti dei suoi interlocutori storici, ovvero gli italiani di Istria, Fiume e Dalmazia. Per la prima volta l’ente si candida a diventare il cardine dell’altra metà degli italiani dell’Adriatico orientale: gli esuli. Nella primavera del 2017 la parlamentare laziale del Pd Marietta Tidei presenta nell’ambito del ddl 50 del 24 aprile, degli emendamenti alle leggi 72 e 73 del 2001. Se la 73 regola i finanziamenti alle comunità italiane in Slovenia e Croazia (in quell’occasione si estende l’area anche al Montenegro), la 72 regola invece l’assegnazione dei fondi alle associazioni del mondo dell’esodo. Con quelle modifiche, poi approvate, l’Upt diventa lo snodo per l’erogazione dei fondi agli esuli, finora gestita attraverso il ministero. Parliamo di circa 2,3 milioni l’anno. Ai tempi più di qualcuno osserva che è improbabile che una deputata laziale si interessi a tal punto delle questioni del Confine orientale, e indica in Rosato, ai tempi capogruppo di Tidei alla Camera, il più probabile ispiratore della norma. In questo modo anche gli esuli vengono ricondotti all’Università popolare: fino a quel momento l’ente era l’interlocutore tradizionale dei “rimasti” e non era visto particolarmente di buon occhio da parte delle associazioni esuli.
[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) L’Università popolare riapre il dialogo tra esuli e rimasti]]
La cosa suscita un prevedibile terremoto. Il primo a insorgere è un personaggio noto per la sua irruenza, l’ex parlamentare missino Renzo de’ Vidovich, presidente della Fondazione Rustia Traine. Per de’ Vidovich la manovra dell’Upt serve a favorire il suo storico avversario nelle associazioni esuli, il presidente di Anvg Renzo Codarin (che nel frattempo è diventato vicepresidente dell’Upt al posto di Braico, prematuramente scomparso). Per l’anziano esponente degli esuli dalmati la manovra rischia di avvantaggiare soltanto le sigle che da sempre ottengono la parte più rilevante dei fondi, ovvero Anvgd e il sodalizio della Federesuli. Accuse che però i diretti interessati rimandano al mittente. Così Codarin ricorda quel periodo: «Io mi dissi contrario al sistema dei bandi adottato dalla Regione per i fondi della 73. Per quanto riguarda quelli della 72, invece, è stata una scelta politica fatta scavalcando noi tutti. L’assenza di condivisione ha rovinato il clima, mi auguro che ora le cose cambino».

In effetti tutte le iniziative descritte nascono su iniziativa politica, ma l’uomo destinato a implementarle è il presidente dell’Upt Fabrizio Somma. Al di là di quel che eventualmente emergerà dal processo di risanamento dell’ente, la sua figura merita qualche parola. Esponenti delle associazioni degli esuli ma anche persone che hanno lavorato con lui concordano nel dire che il suo legame con il centrosinistra è percepito come troppo forte, in quel periodo. A far saltare la mosca al naso un po’ a tutti, però, è il passaggio di incarico di Somma, che avviene nel 2017.
Durante la sua presidenza, infatti, viene licenziato lo storico direttore generale dell’ente Alessandro Rossit. L’Upt emette poi un bando per individuare un sostituto. Nel frattempo Somma si dimette dalla presidenza e partecipa al concorso, vincendolo. La docente dell’ateneo triestino Cristina Benussi approda alla presidenza dell’Upt al posto di Somma. A lei, almeno in prospettiva, tocca anche la patata bollente di gestire la distribuzione dei fondi agli esuli appena appioppata all’ente.
È questo il contesto politico in cui, nel corso del 2018, esplode la crisi dell’Università popolare, durante la quale si dimettono i vertici dell’ente, inclusa la presidente Benussi. Resta al suo posto nel frattempo Somma, che di fatto è un dipendente dell’Upt, a dispetto delle dimissioni ventilate nel pieno della bufera. La conclusione della vicenda è quella di cui abbiamo scritto in abbondanza su queste pagine: l’ente viene commissariato, allo scopo Roma manda l’ex prefetto Francesca Adelaide Garufi.
Non è la prima volta nella storia dell’Upt che l’ente finisce nel mirino per la gestione dei fondi. In passato come oggi è difficile pensare che tutta la partita si giochi soltanto su questo fronte, e che sia possibile scinderla dagli interessi politici, nazionali e internazionali, che circondano questo soggetto benemerito dalla storia così peculiare.
Così come non è possibile leggere il futuro dell’ente senza considerare i cambiamenti avvenuti a Roma e in piazza Unità nel frattempo. Il nuovo presidente regionale leghista Massimiliano Fedriga ha già annunciato di voler assicurare «l’autonomia» delle comunità italiane nei Paesi vicini, lasciando intendere un allentamento del sistema dei bandi che tanto subbuglio ha suscitato oltre confine.
Quanto ai finanziamenti delle associazioni degli esuli, per il momento il suo affidamento all’Università popolare non è ancora stato messo in pratica, ed è alquanto improbabile che ciò avvenga prima del risanamento dell’ente. Non è escluso che salti del tutto. Secondo gli addetti ai lavori starebbe riprendendo quota l’ipotesi, avanzata da una parte delle associazioni, di usare i fondi accumulati dal ministero dell’Economia in seguito al trattato di Osimo per creare una Fondazione che ne occupi. Si tratta di un’idea di fronte alla quale l’Unione degli istriani, uno dei sodalizi più attivi, si è già detta pronta a ricorrere alle vie legali. —
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