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Finisce la latitanza del Pablo Escobar albanese

Il re del narcotraffico si consegna alla polizia dopo oltre due anni. L’ombra degli intrecci fra crimine e politica

Giovanni Vale
2 minuti di lettura

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ZAGABRIA È finita la lunga latitanza di Klement Balili, meglio noto come “il Pablo Escobar dei Balcani”. Il narcotrafficante albanese - su cui pende un mandato di arresto internazionale da oltre due anni e mezzo - si è consegnato nei giorni scorsi alla polizia nei pressi di Finiq, una località del sud dell’Albania a poca distanza da Saranda. Il ministro dell’Interno albanese, Sander Lleshaj, ha subito celebrato quello che considera «il risultato di un’operazione di polizia profonda, ampia e complessa condotta in cooperazione con i partner dell’Albania»; ma la stampa locale nota che non è ancora chiaro perché Balili abbia deciso di consegnarsi. In cambio, scrive il portale Exit.al, avrebbe ottenuto la promessa di non essere estradato in Grecia.



Quella di Klement Balili è una storia lunga e al tempo stesso significativa dei legami che esistono in Albania tra politica e criminalità. Imprenditore sulla cinquantina e proprietario di un hotel di lusso sulla costa albanese, Balili ottiene il suo altisonante soprannome nel maggio del 2016, quando la polizia greca arresta 15 persone, sospettate di trafficare stupefacenti al confine greco-albanese. Per i procuratori greci, Balili è la mente dietro all’organizzazione criminale. All’epoca, però, Balili è anche direttore dei Trasporti della regione di Saranda, ruolo che ha ottenuto nel 2014 su nomina diretta del ministro dei Trasporti del primo governo di Edi Rama.

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Ma le connessioni con la politica non finiscono qui. Nel 2015, all’inaugurazione dell’hotel dell’imprenditore a Saranda, partecipa anche Ilir Meta, allora presidente del parlamento e oggi capo di Stato albanese, così come altre cariche istituzionali. Il video dell’evento fa insorgere l’opposizione e, in seguito, insospettire Atene. In effetti, quando nel 2016 parte la caccia all’uomo, la Grecia lamenta gli scarsi risultati delle forze dell’ordine albanesi e presenta a Tirana un simbolico dossier da oltre diecimila pagine sul caso Balili.

Non sarà la sola a protestare. Nel 2018, durante un evento organizzato dal ministero dell’Interno albanese, l’ambasciatore americano a Tirana, Donald Lu, tiene a «sottolineare un fallimento del governo, dei procuratori e della polizia: il mancato arresto di Balili».

A quasi tre anni dal mandato di arresto internazionale emesso dalla Grecia, ecco che Balili mette spontaneamente fine alla propria latitanza. Secondo la polizia albanese, la resa arriva al termine di un anno di negoziati tra le forze dell’ordine e la famiglia di Balili e in seguito all’intensificarsi dell’attività di ricerca dopo le pressioni internazionali sull’Albania (Paese membro della Nato).

Interrogato su quale sia stata la contropartita che ha convinto Balili ad arrendersi, il ministro dell’Interno albanese, Sander Lleshaj, ha risposto: «La promessa di un processo equo». Ironia della sorte, Balili dovrà difendersi dallo stesso capo di imputazione del predecessore di Lleshaj, l’ex ministro dell’Interno Saimir Tahiri, anch’egli accusato di traffico internazionale di stupefacenti. —


 

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