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Dai permessi “brevi” ai super-straordinari così l’Est prova a trattenere i lavoratori

Fra premi a chi porta nuovo personale in azienda e documenti di espatrio a termine, misure contro la carenza di manodopera

Stefano Giantin
2 minuti di lettura
(ansa)

BELGRADO Il problema è enorme e di difficile soluzione. E per trovare contromisure si può pensare a proposte “indecenti” e a iniziative poco ortodosse. Anche a costo di provocare le ire dei partner europei e di Bruxelles. Idee e proposte sono quelle che circolano con sempre maggior vigore nell’Europa centro-orientale e nei Balcani, regioni che rischiano di essere messe in ginocchio dal fenomeno dell’emigrazione verso l’Ue più ricca e dunque dal “labour shortage”, la mancanza di manodopera, in particolare qualificata.

Come arginare il problema? L'ultima idea – che ha suscitato aspre polemiche – è arrivata da Eugen Teodorovici, ministro della Finanze della Romania, Paese che negli ultimi dieci anni ha perso oltre tre milioni di cittadini che si sono trasferiti all’estero, il numero più alto nel mondo dopo la Siria. Per farne tornare a casa una buona parte, si potrebbe pensare all’introduzione di permessi di lavoro “a tempo”, ha detto Teodorovici, anticipando di avere avanzato l’idea ad altri omologhi dell’Ue.

«Se qualcuno va in Germania» per lavorare e il permesso gli viene rinnovato a oltranza, «non tornerà mai in Croazia o in Romania». Serve invece una scadenza, «cinque anni massimo e poi ciao ciao», ha aggiunto. “Ciao” che significa il dover andarsene via in un altro Paese Ue, alla ricerca di un nuovo lavoro a termine: prospettiva complicata. Oppure significa il ritorno in patria, a lavorare, pagare le tasse e sostenere il welfare, minacciato dall’invecchiamento della popolazione e dalle culle vuote. Soluzione accettabile? Non proprio. Il maggior partito d’opposizione, il Pnl, ha chiesto le dimissioni di Teodorovici, mentre altri critici hanno parlato di misure «che ricordano il periodo comunista» e «anti-europee».

Ma ostile è anche la Commissione europea. Di solito «non commentiamo i commenti», ha osservato Bruxelles, ma «la libera circolazione dei lavoratori è un diritto fondamentale nella Ue». Le idee di Teodorovici - che ha poi fatto una parziale marcia indietro - non sono però isolate. La sua collega romena titolare del dicastero della Salute, Sorina Pintea, ha anticipato che la Romania sta valutando misure per obbligare i medici a rimanere «per un certo numero di anni» in patria, prima di cercar fortuna altrove.

E la Romania non è un’eccezione. In Croazia, Paese azzoppato dall’emigrazione post-adesione alla Ue – almeno 250 mila i partiti – i media locali hanno segnalato un nuovo trend. Quello di «imprese che offrono premi ai dipendenti che portano nuovo personale in azienda». In Bulgaria sono sempre più frequenti gli appelli delle autorità agli emigranti affinché ritornino a casa. E l’Ungheria sta pensando a provvedimenti per permettere alle aziende, rallentate nella produzione dalla carenza di personale, di aumentare fino a 400 ore all’anno gli straordinari, dando facoltà ai datori di lavoro di pagare dopo tre anni le ore in più: una «legge schiavistica», l’hanno bollata media critici.

E la forza lavoro è sempre più difficile da trovare - o troppo cara - pure a Praga e Bratislava, così da spingere colossi come Volkswagen a spaziare verso Romania e Bulgaria – dove i costi sono ancora relativamente ridotti - per un nuovo mega-impianto. I costi sono comunque cresciuti del 15,6% anno su anno nel secondo trimestre del 2018 in Romania, del 10,2% in Ungheria, del 9,8% in Croazia: un segnale di imprese che pagano di più per fidelizzare la manodopera o trovarne di nuova. Si tratta di una sfida spesso marcata da insuccessi. Secondo un rapporto PwC, la Romania “perde” il 10% del suo Pil ogni anno (167 miliardi di euro) a causa della mancanza di maestranze. Peggio fa la Bulgaria (13,2%, 47 miliardi); relativamente meglio Polonia (5,7%), Ungheria (5,2%), Slovenia (3,5%), Croazia (3,3%), Cechia (3,1%), tutte però oltre la media Ue dell’1,9%. E allora, anche le proposte indecenti, come quella di Teodorovici, diventano comprensibili. E, forse, persino accettabili. —


 

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