A Tirana premiato il giornalismo investigativo nei Balcani
Al Cei Seemo Award 2018, supportato anche dal Cei di Trieste, vincitori gli autori di inchieste sulla corruzione. Si è parlato anche di fake news e di libertà d'espressione

Da nostro inviato a Tirana - Troppi “produttori di notizie” ma pochi giornalisti professionali; molte informazioni, specie sui media digitali come Facebook, ma poche news “certificate” da un codice deontologico che non può essere solo imposto ma va fatto proprio sia singolarmente che a livello di media; mirare non solo alla trasparenza di finanziatori e donatori ma esplicitarli senza possibilità di equivoci. Sono queste alcune delle “ricette” per un giornalismo, specie investigativo, credibile e monetariamente sostenibile emerse durante l’annuale Forum dei media del Sudest Europa in svolgimento questa volta a Tirana, implementato dall’Organizzazione dei media del Sudest Europa (Seemo) condotta da Oliver Vujovic.
In una capitale albanese dai palazzi che si affacciano sulla storica piazza Skandenberg “impacchettati” con enormi natalizi nastri rossi, i vecchi lastroni marmorei che dall’austera nudità d’epoca comunista e postcomunista sono passati a base di chioschi, giostre, e banchetti per le Festività, qui ecumenicamente celebrate per tutte le religioni, sono stati consegnati i premi Cei Seemo Award 2018 per il giornalismo investigativo nell’area balcanica e orientale del Vecchio continente.
Nella categoria Giornalisti professionisti sono risultati vincitori i serbi Stevan Dojcinovic e Dragana Peco, del portale Krik, autori di inchieste sulla corruzione e l’impiego “opaco” di fondi da parte di ministri e ministero di Belgrado (Interni, Difesa), ricevendo anche minacce dirette volte a farli desistere dal lavoro. Il bosniaco Bilajac (Cin) ha primeggiato tra i Giovani, svolgendo inchieste simili ed esplorando forme di comunicazione nuove per tale settore, utilizzando accanto a foto, testi, filmati e grafiche anche fumetti con citazioni degli intervistati.
Nella due-giorni skipetara, supportata dall’Iniziativa centroeuropea con base a Trieste, l’Istituto per il commercio estero, l’ambasciata a Tirana e la tedesca Fondazione Adenauer l’espressione più ricorrente è stata quella di fake news, le notizie create ad arte con fini assai poco etici. E’ stata ripresa, più volte, dal presidente della Repubblica Ilir Meta nel suo discorso inaugurale. Un indirizzo di saluto suonato, spietata legge del contrappasso, come una beffarda lezione a chi fino a ieri è stato un “faro” sociale e di costume, e uno dei maggiori sponsor economici, finanziari, politici e militari del Paese delle aquile una volta guadagnata la libertà del regime comunista.
L’ex studente dissidente degli Anni ’90 ha redarguito contro l’uso di “hate speech”, il linguaggio d’odio praticato da certi politici verso i giornalisti; ha rimarcato il dovere di combattere il “cattivo giornalismo”; ha ricordato i tempi duri per la libertà di espressione e gli operatori dell’informazione sotto attacco non solo nell’area balcanica, citando l’omicidio della reporter maltese Caruana Galizia. Si è rammaricato della “fuga di cervelli” bene conosciuta anche in Occidente ma che ovviamente “funziona”, a scalare, a tutti i livelli e a tutte le longitudini. Ormai gli allievi di quella Europa Occidentale e dell’Unione europea che hanno costituito un faro per gli Stati di questa area geografica e che ancora hanno una residua forza attrattiva, sembrano avere superato i maestri. Che farebbero bene a fare un rapido quanto profondo e intellettualmente onesto esame di coscienza dalle loro cattedre scricchiolanti.
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