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Don Dipiazza: «Questa città sta perdendo la sua identità»

Il parroco di San Rocco ricorda che la storia di Gorizia si è sempre caratterizzata per l’accoglienza e per l’apertura verso il prossimo in difficoltà

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«La Terra è di tutti, o se vogliamo ancora meglio di nessuno. Dio confini non ne ha fatti, divisioni e differenze sono sempre arrivate dalla politica o dagli interessi».

Anche il parroco di San Rocco monsignor Ruggero Dipiazza interviene nella querelle scatenata dalle parole di don Sinuhe Marotta sulla questione dell’assegnazione degli alloggi di edilizia pubblica agli stranieri. E lo fa affiancandosi, come del resto gli altri sacerdoti della città, alla posizione del parroco del Duomo in procinto di lasciare la città per Cervignano. L’invito di Dipiazza è rivolto al mondo della politica, perché eviti di veicolare un messaggio che, dice, non è proprio di Gorizia e dei goriziani. «Mi pare ci sia il rischio di vivere in una città che va perdendo la sua identità – spiega don Ruggero –. La nostra storia è sempre stata fatta, in tempi lontani o recenti, di accoglienza e apertura al prossimo, e penso ai profughi istriani e dalmati, che furono assistiti sia dal punto di vista umano che religioso, ma anche all’arrivo di albanesi e kosovari che nel tempo si sono integrati a tal punto da far parte della città anche con il ruolo attivo di imprenditori. E in tutti questi casi penso ai tanti cittadini che si sono messi a disposizione per aiutare queste persone».

Una realtà che secondo monsignor Dipiazza è ancora presente oggi, ma viene in qualche modo ribaltata. «Fa impressione come oggi si interpreti il sentore di rifiuto della città per chi arriva da fuori, da parte degli amministratori – dice –, quasi ignorando il cuore, la sensibilità e la cultura di una Gorizia sempre stata mitteleuropea e aperta. A mio parere una simile interpretazione è sbagliata, dire che la città è questa, che non vuole i migranti e gli stranieri, colpevolizza e offende i goriziani stessi». Secondo il parroco di San Rocco certe prese di posizione della politica sono strumentali – «le regole per l’assegnazione degli alloggi c’erano già in passato, erano note e non ci sono mai state sommosse popolari» – e finiscono per riattizzare antichi livori e contrasti sociali, quando invece nel caso delle famiglie stranieri che ottengono una casa dell’Ater «parliamo di gente che da anni vive in città, fa parte del suo tessuto connettivo, manda i figli nelle nostre scuole e spende i suoi soldi nei negozi del posto», dice Dipiazza.

Infine, il parroco lancia un affondo proprio al mondo della politica: «Purtroppo c’è qualcuno che interpreta le cose in base al suo punto di vista, e cerca di mettere determinati messaggi sulla bocca della gente. Del resto c’è chi se non ci fosse lo “spauracchio” degli immigrati probabilmente non avrebbe ottenuto il suo posto alle elezioni». —



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