In evidenza
Sezioni
Magazine
Annunci
Quotidiani GNN
Comuni

Anidride carbonica: è sotto il mare la sua destinazione

Esiste un progetto per catturare e stoccare tonnellate di CO2 in eccesso. Ma quali i rischi?

2 minuti di lettura

TRIESTE Ogni giorno vengono rilasciati circa 100 milioni di tonnellate di anidride carbonica (CO2) nell'atmosfera. Liberarsi dell’anidride carbonica in eccesso catturandola e stoccandola al di sotto dei fondali marini è l'idea alla base della tecnologia chiamata CCS - Carbon capture and storage, che potrebbe rivelarsi un’opzione promettente per la mitigazione dei cambiamenti climatici dal momento che si stima possa contribuire per il 33% alla riduzione delle emissioni di CO2 richiesta per il 2050.

Sebbene sia altamente improbabile che un sito di stoccaggio scelto e gestito correttamente presenti delle perdite, cosa potrebbe accadere se questi siti dovessero rilasciare l'anidride carbonica intrappolata liberandola nelle acque del mare? Quali sarebbero gli effetti sull’ecosistema marino? Se lo sono chiesti alcuni ricercatori coinvolti in uno studio internazionale ECO2 (Sub-seabed CO2 Storage: Impact on Marine Ecosystems), finanziato dalla comunità europea e coordinato da Geomar Centro Helmholtz per la ricerca oceanica di Kiel, a cui ha partecipato anche l’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale di Trieste – OGS. «La CO2 - spiega Cinzia De Vittor ricercatrice Ogs - viene catturata prima che venga rilasciata in atmosfera direttamente nelle centrali elettriche a carbone o in altre strutture, come acciaierie o raffinerie, trasportata per mezzo di condutture adeguate verso il sito di confinamento e poi iniettata attraverso dei pozzi in delle formazioni geologiche adatte a contenerle nel lungo periodo». Si tratta, insomma, di una "trappola geologica" che imprigiona l'anidride carbonica per un periodo di tempo molto lungo lontano dall'atmosfera. Spiega De Vittor: «Sotto terra ci sono giacimenti di CO2 che esistono da milioni di anni che dimostrano che le formazioni geologiche sono in grado di contenere la CO2 in modo sicuro».

«In caso di eventuali fuoriuscite però, - prosegue - i siti caratterizzati da emissioni naturali di CO2 come ad esempio l'area di Panarea (Arcipelago delle Isole Eolie), rappresentano un laboratorio naturale unico per vedere quale sarebbe l'impatto dell'anidride carbonica sull'ecosistema». «L'aumento dei livelli di CO2 - conclude De Vittor anche responsabile del laboratorio Eccsel-NatLab Italy a Panarea - può influenzare localmente la funzionalità dell'ecosistema marino, anche nel lungo termine; gli organismi di più grandi dimensioni sembrano essere quelli maggiormente sensibili e la tipica comunità dei sedimenti sabbiosi pare non ristabilirsi neppure un anno dopo il trasferimento dei sedimenti in un sito non disturbato». Per tale motivo i siti di stoccaggio vanno scelti accuratamente e monitorati nel lungo periodo. Secondo i dati del Global Ccs Institute, attualmente esistono 17 impianti CCS su larga scala per la cattura e lo stoccaggio di CO2 che operano a livello globale, con altri quattro in arrivo nel 2018 e l'attuale cattura di CO2 è di 37 milioni di tonnellate all'anno equivalente alla rimozione di otto milioni di automobili dalla strada ogni anno. Dodici delle 17 strutture di grandi dimensioni operative sono situate negli Stati Uniti e in Canada e due di queste sono entrate in esercizio negli ultimi dodici mesi (Petra Nova e Illinois Industrial), mentre in Europa, Medio Oriente e Africa (Emea), quattro impianti su larga scala stanno operando con successo (due in Norvegia e due in Medio Oriente), con altri due in fase di sviluppo iniziale nel Regno Unito.
 

I commenti dei lettori