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Trieste, baby profughi afghani marchiati sul braccio

Il caso di due 14enni trattati come pacchi postali da trafficanti senza scrupoli con il recapito “Trieste” scritto a penna sul corpo. Mercoledì 17 gennaio il passeur a processo

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TRIESTE. Sono scesi dal treno con lo sguardo sperduto, senza sapere dove fossero. In due, entrambi afghani di quattordici anni, partiti dalla tormentata provincia di Baghlan a Nord di Kabul. Il passeur era lì, davanti ai binari, ad attenderli. Avrebbe dovuto occuparsi lui dell’ultima tratta di destinazione: il Belgio. Uno dei due adolescenti aveva trascritta sull’avambraccio sinistro la tappa di approdo: “TRIESTE”. In stampatello, con una biro, come si fa con i pacchi postali. A fianco pure un numero: “06.09”. Forse una data, se non addirittura un codice. Fanno così i trafficanti, adesso, con i ragazzini.

L’episodio risale al giugno del 2016, ma viene a galla ora grazie al materiale investigativo: la polizia ha arrestato il trafficante che aspettava i due giovani nella Stazione ferroviaria del capoluogo: Wadoud Multan, un afghano di 25 anni. Gli agenti si sono accorti dei due ragazzini stranieri che camminavano da soli lungo i binari. Li hanno seguiti e hanno notato Multan che si avvicinava. Era lui l’uomo che dovevano incontrare per farsi portare nel Nord Europa. Tutto organizzato. Prima del fermo della polizia il venticinquenne afghano alloggiava in un appartamento dell’Ics, in via Vasari. Durante la perquisizione gli agenti hanno scoperto nel suo appartamento altri quattro connazionali fatti arrivare clandestinamente in città, probabilmente negli stessi giorni. Il trafficante usava false identità, come verificato dagli accertamenti della Questura con la polizia tedesca e quella greca. L’uomo era già stato schedato. Sarà processato oggi con rito abbreviato davanti al gup Luigi Dainotti. Deve rispondere del reato di favoreggiamento all’immigrazione clandestina. È l’avvocato Andrea Cavazzini a difenderlo.



Il caso, al di là dei seguiti giudiziari, scoperchia una modalità finora inedita sul traffico internazionale di profughi e minori che transita per questa zona di confine: la destinazione scritta a penna, sulla pelle nuda di un corpo poco più che bambino, non si era mai vista prima. Merce umana.

I fatti. I due quattordicenni, ora ospiti di una struttura di accoglienza cittadina, sono arrivati a Trieste il 18 giugno 2016. Erano su un treno proveniente da Udine. Sono scesi in stazione alle 7.29. C’era il passeur afghano pronto ad aspettarli, poi arrestato dagli agenti. Avrebbe intascato 200 euro per occuparsi della tappa finale verso il Belgio. Le immagini delle telecamere della Stazione hanno ripreso l’intera scena. Trieste, dunque, era solo un passaggio. I due giovani erano partiti dall’Afghanistan, da Baghlan, un paio di mesi prima. Un viaggio pagato direttamente dai genitori. Si presume una cifra attorno ai 5mila euro.

«Sono partito dall’Afghanistan circa due mesi fa - ha raccontato uno dei due quattordicenni all’interprete - la mia famiglia mi ha mandato in Europa per tentare di darmi un futuro. In Belgio mi hanno detto che c’è un parente che mi può aiutare». Le forze dell’ordine sono riuscite anche a scoprire il tragitto che ha fatto la coppia di adolescenti, seppur per sommi capi. Dall’Afghanistan riescono a raggiungere la Bulgaria, forse a bordo di un camion con altri connazionali. Qui, stando agli atti, i due vengono ospitati un centro di accoglienza per minori, dove trascorrono alcuni giorni. Lì entrano in contatto con un pachistano. Probabilmente nulla è casuale.

«Ci ha detto che poteva aiutarci ad arrivare in Belgio. Quest’uomo - ha riferito ancora il ragazzo - ha parlato con gli uomini dell’organizzazione che ci ha portato in Bulgaria. Lui vive in Afghanistan. Abbiamo parlato anche noi con lui al telefono, ha detto che potevamo fidarci». È il pachistano che fa tracciare sul braccio di uno dei due quattordicenni la scritta “Trieste 06.09”. «Lui - ha affermato ancora l’adolescente - ci ha accompagnati in treno da Vienna fino a Udine. Poi ci ha detto che dovevamo arrivare a Trieste, dove ci avrebbe atteso un uomo incaricato di farci raggiungere il Belgio. Mi ha fatto scrivere sull’avambraccio sinistro il nome “Trieste”». Hanno usato una semplice penna biro, ancora ben visibile agli agenti durante l’interrogatorio.

Oggi, mercoledì 17 gennaio, è atteso il processo per Wadoud Multan. Gli inquirenti dovranno dimostrare il coinvolgimento dello straniero nell’organizzazione di trafficanti. Lui sostiene di aver «aiutato» la famiglia. «I ragazzi sono del mio villaggio - si è giustificato - figli di persone che conoscevo».

 

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