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Ungheria al voto l’8 aprile, Orbán si prepara al trionfo

I sondaggi danno al 52% il partito del premier che governa il Paese dal 2010 Il ministro: «Urne decisive per mantenere il muro anti profughi ai confini»

di Stefano Giantin
2 minuti di lettura
(ap)

BELGRADO. La data della giornata campale è stata fissata. Sarà l’8 aprile prossimo, ha annunciato il presidente della Repubblica, Janos Ader. Ma la sfida – quella delle elezioni politiche in Ungheria - ha già un vincitore annunciato, a meno di clamorose sorprese. Si chiama Viktor Orbán, il premier populista spesso al centro di polemiche e critiche all’estero, ma con in mano saldamente il Paese su cui regna ormai dal 2010. E che è accreditato a governare per altri quattro anni.

Dovrebbe essere proprio Orbán - con il suo partito, il Fidesz - il dominatore delle elezioni politiche di primavera. Lo confermano, da tempo ormai, tutti i sondaggi e le proiezioni sul risultato elettorale, come quelli sintetizzati sul portale Kozvelemenykutatok. Gli studi più recenti indicano poi che Fidesz potrebbe conquistare il 52% nelle preferenze tra gli elettori, come nel 2014, ottenendo così la maggioranza assoluta dei consensi: un vero e proprio trionfo per Orbán.

Il premier ungherese in questi mesi ha puntato tutto sui suoi cavalli di battaglia storici: l’economia e l’occupazione, in forte crescita; e il no secco a migranti e profughi, a suo dire il cavallo di Troia per destabilizzare il Paese. E non è il solo a pensarla così. Con lui anche milioni di ungheresi. Sono quelli che hanno risposto alla controversa «consultazione popolare» sul presunto piano del magnate George Soros per “importare” un milione di profughi in Europa. E che viene «rigettato all’unanimità» dai magiari, ha spiegato il portavoce del governo, Zoltan Kovacs.

I dati sembrano dargli ragione, con 2,35 milioni di questionari restituiti al mittente e una maggioranza bulgara che «ha rifiutato il “piano Soros”». E le elezioni, ha affermato da parte sua il ministro per le comunicazioni del governo Bence Tuzson, sono «cruciali», perché si deciderà «se la barriera» - cioè il muro anti-migranti costruito al confine serbo e croato - «rimarrà in piedi»; e in generale si disegnerà il futuro dell’Ungheria.

Futuro che difficilmente sarà indirizzato da un’opposizione divisa. Gli sfidanti più accreditati di Orbán, gli uomini di Jobbik, movimento di estrema destra riposizionato al centro per rastrellare consensi, sono quotati solo al 16-17%. E i socialisti sono fermi al 9-10%, mentre la Coalizione democratica è data al 6-7%. Si tratta di partiti che nei giorni scorsi hanno denunciato che la loro campagna elettorale sarebbe a rischio, a causa di procedimenti in essere della Corte dei conti per presunte irregolarità finanziarie. Jobbik ha parlato di «attacco contro la democrazia», mentre esponenti dei Democratici hanno accusato la Corte di eseguire «gli ordini del regime» per azzoppare l’opposizione.

Ma non ci sono solo polemiche interne. E un tema ha avuto il merito, raro, di unire maggioranza e opposizioni. Proprio in questi giorni a Budapest è scoppiato infatti un caso con la vicina Romania, con potenziali serie conseguenze internazionali. A scatenarlo sono state le incaute dichiarazioni del premier romeno, Mihai Tudose, che ha rilasciato un’intervista infuocata a una televisione privata, nel corso della quale ha toccato anche il tema delle pretese di tre partiti espressione della minoranza magiara in Romania per una maggiore autonomia politica, in particolare per gli székely, 700mila persone di lingua ungherese che vivono nel cuore della Transilvania romena e che rappresentano più della metà dei magiari di Romania. Quelle richieste di autonomia e di poter issare la bandiera azzurra degli székely sugli edifici pubblici in Romania hanno scatenato l’ira di Tudose, che ha respinto ogni rivendicazione autonomistica. E ha minacciato che se quei politici oseranno «sventolare la bandiera (degli székely) sulle istituzioni» pubbliche, anch’essi rischieranno di «ondeggiare» lì vicino. La frase, in Ungheria, è stata letta come un’aperta minaccia e addirittura un’allusione all’impiccagione. Sugli stessi pennoni delle controverse bandiere. Così le parole di Tudose sono state condannate con forza a Budapest, con il ministro degli Esteri Peter Szijjarto, che ha convocato l’ambasciatore romeno. E ha parlato di frasi «totalmente inaccettabili».

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