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Scoperto da speleologi triestini il vino più antico del mondo

Il rinvenimento nelle esplorazioni delle grotte di Sciacca in Sicilia: ha seimila anni Esami sui residui dal 2012. Ora il riconoscimento scientifico a livello internazionale

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Il vino più antico del mondo. La scoperta in Sicilia

TRIESTE. Ci volevano dei triestini, per scoprire il vino più antico del mondo. Un invecchiamento mica da poco, ben 6mila anni. In tal senso sono ben poca cosa i cinque anni che ci sono voluti ai ricercatori per tramutare in dati e statistiche i reperti trovati dagli speleologi della Commissione grotte Eugenio Boegan in Sicilia, all’interno delle grotte termali di Sciacca. Un’esplorazione che rientrava nella fase operativa del progetto Kronio, così chiamato dal nome delle cavità che si aprono sul monte Kronio, un'altura di circa 400 metri che domina l'abitato della città siciliana.

All’interno del complesso carsico denominato "Stufe di San Calogero", famoso per i suoi fenomeni vaporosi, la spedizione locale aveva incentrato la sua attenzione soprattutto su alcuni vasi dell’età del rame in ottimo stato di conservazione.

[[(gele.Finegil.StandardArticle2014v1) Ad Aquileia le tracce del vino che si beveva 3mila anni fa]]


Era il dicembre del 2012, ma le missioni a Sciacca si possono definire quasi una tradizione della “Boegan”, visto che sono partite addirittura nel 1942. In quest’ultima erano presenti circa una ventina di speleologi, tra cui i triestini Paolo de Curtis, Riccardo Corazzi, Spartaco Savio, Louis Torelli e Lucio Comello e per “LaVenta” Giovanni Badino, Vittorio Crobu, Tullio Bernabei, Luca Imperio.

I campionamenti erano stati presi in consegna da un team di esperti, composto da Davide Tanasi, Enrico Greco, Valeria di Tullio, Donatella Capitani, Domenica Gulli ed Enrico Ciliberto che hanno sottoposto i residui a sofisticatissimi controlli, come ad esempio le tecniche avanzate di spettrografia ad infrarossi e risonanze magnetico-nucleare con microscopi elettronici. Alla fine, il responso: all’interno di quegli orci sono state trovate tracce di acido tartarico e tartarato di sodio, componenti naturali del vino. Nella fattispecie, il più antico di cui si abbia traccia certa, eccezion fatta per uno in Cina che di anni ne avrebbe addirittura 7mila, ma sul quale le informazioni sono poche e contrastanti. In Italia il ritrovamento più antico era riferito al 3000 avanti Cristo, ed era stato effettuato in Sardegna.

Racconta Riccardo Corazzi, uno dei componenti della spedizione: «Il tipo di reperti trovati nelle grotte fa pensare al loro utilizzo come un possibile, antico santuario, dove si svolgevano sia riti funebri che cerimonie di devozione alla terra. Di sicuro la vivibilità di quelle caverne è molto peggiorata negli anni, viste le condizioni climatiche attuali, che le rendono invivibili, se non per brevi periodi».

Nella fase due della missione, infatti, gli speleologi hanno dedicato la loro attenzione alle "Stufe", diventate il punto di partenza delle esplorazioni speleologiche, svolte in condizioni estreme (con temperature interne fino a 40° e l’umidità vicina al 100%), spingendosi fino ai rami più profondi e tutt'ora inesplorati della cavità. Per farlo, gli speleologi hanno dovuto avvalersi di abbigliamento speciale, costituito da tute raffreddate ad aria e autorespiratori portatili alimentati a ghiaccio. «Il tempo di permanenza nella grotta - racconta ancora Corazzi - non poteva superare i 15 minuti. Dopo, si correvano seri rischi addirittura per la propria sopravvivenza».

[[(MediaPublishingQueue2014v1) La spedizione triestina alla scoperta del vino più antico]]

La sofferenza non è stata inutile. Il gruppo triestino veniva costantemente monitorato da professionisti di diverse specialità tra cui neurofisiologi, biochimici clinici e rianimatori esperti di studi sul campo in ambiente estremo. E c’è stato anche il tempo di effettuare delle ricerche sulle stesse apparecchiature, che sono state testate per la prima volta in questo ambiente. L’intenzione dichiarata era quella di valutare la risposta neurovegetativa e bioumorale allo stress termico.

Nel caso di alcune di queste tecnologie, esse costituiscono la naturale evoluzione delle trentennali esperienze esplorative realizzate dalla Commissione Grotte Boegan in questa grotta, e delle tecniche che l'associazione La Venta, pure presente all’impresa, ha ideato, ad esempio, per l'esplorazione della grotta dei Cristalli giganti di Naica in Messico.

Il lavoro di ricerca è stato pubblicato a fine agosto 2017 sul prestigioso “Microchemical Journal”, a cura di ricercatori del Center for Virtualization and Applied Spatial Technologies (Cvast) & Department of History, University of South Florida, del dipartimento di Scienze chimiche università di Catania, del Cnr Imc Roma e della Soprintendenza Bb.cc.aa. di Agrigento.

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