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Trieste, Serracchiani lancia la sfida «Noi competitivi nel 2018»

La presidente alla convention del Pd sottolinea la «forza delle cose fatte» E poi attacca il centrodestra: «Qual è la loro idea per il Friuli Venezia Giulia?»

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Di qui le cose fatte, le svolte epocali, il coraggio delle scelte. Di là la difesa delle rendite di posizione, la ricerca del consenso, la mancanza di proposte. Debora Serracchiani lancia la sfida al centrodestra. Lei, nel 2018, probabilmente non ci sarà. Ma a quell’appuntamento, assicura la presidente della Regione, il centrosinistra «potrà mostrare i fatti, a partire dalle riforme che abbiamo impostato, che stiamo attuando e che possiamo pur sempre correggere negli aspetti che non funzionano».



La storia. Era il 21 luglio 2012 quando Serracchiani si mise «al servizio del Fvg». Cinque anni dopo si ritrova nello stesso posto, l’hotel Astoria di Udine, non si ricandida, ma rilancia le quotazioni di un Pd depresso dalle batoste elettorali. Si può vincere, è il messaggio della presidente, perché «le cose fatte per il nostro territorio» sono tante e convincenti. Mai come prima nella storia del Fvg, sottolinea citando uno alla volta i bersagli centrati: dai cantieri della terza corsia «che era nel cassetto dal 2009» al polo intermodale di Ronchi «contenuto nel piano dei trasporti del 1988», dal decreto attuativo per il Porto franco di Trieste «che si attendeva dal 1954» all’interporto di Cervignano. «Se era tutto così semplice, perché nessuno c'è arrivato prima?».


Il clima è già preelettorale. Il Pd, che organizza l’evento udinese (200 persone in sala), parla con il presidente Salvatore Spitaleri di «ultimo tagliando» e poi con la segretaria Antonella Grim e il capogruppo Diego Moretti disegna un racconto, tra video e slide, di quattro anni di legislatura che, oltre alle due riforme chiave della sanità e degli enti locali, hanno visto governo e partito muoversi su più fronti: edilizia scolastica, odontoiatria sociale, abolizione del super ticket, sostegno al reddito, investimenti infrastrutturali, tagli dei costi della politica. A dare una mano, rilevando il buon rapporto con la giunta, anche il segretario generale del porto Mario Sommariva, il presidente di Coldiretti Fvg Dario Ermacora e il presidente del Polo tecnologico di Pordenone Valerio Pontarolo.

Candidatura-bis ancora incognita. Più di tutti, a guardare avanti, sollecitata dal direttore del Messaggero Veneto Omar Monestier, è però proprio Serracchiani. Che parla da candidata, parrebbe. Ma non dà in realtà un solo indizio che possa anticipare una ricandidatura bis. «Il Pd ha molte frecce al proprio arco, ma il punto non è se si candida Serracchiani al governo della regione o qualcun altro – dice –. Il condottiero è un pezzo, un pezzo importante, ma a noi interessa delineare qual è l’idea della Regione e dove la vogliamo condurre vista la tanta strada fatta». Di strada davanti ce n’è però ancora. «La legislatura non è certo finita», assicura la presidente annunciando tra l’altro qualche aggiustamento sulle Uti e la definizione del nuovo protocollo Padoan-Serracchiani.

Il vice-Bolzonello. Nessuna smobilitazione prima del tempo, dunque, e nemmeno l’investitura estiva di Sergio Bolzonello, che arriva all’Astoria zainetto in spalla, dice che è «la serata della presidente», non dice una sola altra parola a parte qualche battuta sulla sua collezione di fumetti.

E così, in una riunione Pd in cui, per una volta, non si litiga, e dopo aver snobbato il M5S («Lasciamoli stare»), Serracchiani ribadisce che non è questione di un candidato di centrosinistra contro uno di centrodestra, ma di due visioni: «La nostra è quella di una regione innovativa, forte, che supera localismi e guerre di campanile. La loro qual è?». Ma c’entra anche il coraggio, insiste la presidente: «Le decisioni si prendono anche quando si pagano in punti elettorali: noi abbiamo deciso. Se al posto nostro ci fossero Tondo e il centrodestra, non saprebbero cosa dire». Infine, un’ammissione che non farà piacere ai sindacati: «Oggi il comparto unico non lo farei. Ma c’è, e dobbiamo cercare di farlo funzionare». E un avvertimento, rivolto ancora al centrodestra: «Alle due province autonome del Friuli e della Venezia Giulia diciamo un no fermo, culturale, storico».

 

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