Porta i fiori al camposanto Trova il suo nome sulla lapide
Una sessantenne di Servola denuncia l’assurdo errore sulla tomba del padre «Pochi giorni dopo il funerale sulla pietra c’era inciso Mirella anziché Sergio»

Portare i fiori sulla tomba del padre e trovare sulla lapide il proprio nome. La macabra sorpresa capitata a Mirella Giovannini, una sessantenne residente a Servola, risale a cinque mesi fa ma viene a galla solo ora e va ad arricchire di un nuovo capitolo le funeree vicende del camposanto cittadino.
Dopo lo scambio di salme, anche lo scambio di nomi. Altro che eterno riposo, non c’è davvero pace a Sant’Anna. E ancora una volta finisce sotto accusa l’AcegasApsAmga che gestisce i servizi cimiteriali per conto del Comune. «Ho letto in questi giorni di quanto è accaduto a quelle due anziane, i cui corpi sono stati confusi, e allora ho deciso di raccontare anche il mio caso perché non è giusto che le persone vengano trattate senza cura e rispetto», denuncia la sessantenne.
Per il funerale del papà, il signor Sergio Giovannini deceduto il 22 novembre, la figlia si rivolge all’AcegasApsAmga. Domanda la cremazione, come da desiderio del defunto, e la posa dell’urna cineraria nello stesso posto in cui è custodita quella della madre Nella Radin. Per gli addetti sarebbe stato sufficiente aggiungere il nome di papà Sergio. Pochi giorni dopo le esequie, la donna torna al camposanto per salutare il proprio caro che riposa accanto alla coniuge. Ma quando raggiunge il loculo di famiglia trova se stessa. Sulla pietra tombale hanno inciso “Giovannini Mirella”. Lei.
Forse allunga la vita, chissà, ma a Mirella in quel momento prende un colpo. «Ha iniziato a girarmi la testa». La sessantenne, che per l’AcegasApsAmga sarebbe ufficialmente defunta, protesta. «Alle mie pronte rimostranze mi viene risposto che la colpa era dello scalpellino», riferisce. «Ma mi sono domandata: chi è che gli ha fornito i miei dati personali? Con quello che si paga per organizzare un rito funebre (la famiglia ha speso 3 mila e 500 euro, ndr) sarebbe auspicabile serietà e rispetto, se non agli eredi, almeno a chi ha lasciato questo mondo».
Non finisce qui. Lo scalpellino, o chi per lui, quel giorno deve averci preso gusto. Oltre alla burla del nome sbagliato, hanno bisticciato pure con le date: sulle lapide compare “14 giugno del ’56”, mentre la figlia in realtà è nata a febbraio. La danno per morta, ma almeno più giovane. Può consolarsi. «Al cimitero sembra che ne combinino una ogni giorno - osserva Mirella - e ciò fa riflettere sulla serietà con cui lavorano». La signora ci ha tanto riflettuto su in questi giorni da dubitare perfino sulle sorti della mamma. Perché se il nome del papà è stato confuso con il suo, ora la figlia non è nemmeno certa che all’interno dell’urna ci siano effettivamente i resti di mamma Nella, passata a miglior vita nel settembre 2012. Cosa è successo stavolta? «All’epoca, per le esequie, mi ero rivolta alla società Alabarda. Ricordo bene le mie richieste: avevo domandato che durante il rito funebre la bara con le spoglie rimanesse chiusa. E così è stato. Ma ho saputo solamente pochi mesi fa, quando ho dovuto affrontare il funerale di mio padre, che avrei dovuto riconoscere il corpo della mamma prima che la bara venisse sigillata e dare così l’autorizzazione. Ma - racconta Mirella - la cassa era stata chiusa subito senza controlli. Leggendo gli episodi di questi giorni, posso sospettare che lì dentro avrebbe potuto esserci qualsiasi altra persona». Il tarlo del dubbio.
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