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Cecilia e Renata, 217 anni di storia goriziana

La Seghizzi, 108, è andata a far visita a Villa San Giusto all’amica, 109, sorella di Tullio Crali. Aperto l’album dei ricordi

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L'incontro a Villa San Giusto tra cecilia Seghizzi, 108 anni, e Renata Crali, 109 anni (Bumbaca) 

GORIZIA Due amiche che si rivedono dopo anni, una fetta di crostata per suggellare l’incontro, ricordi e nostalgia che si intrecciano in un dialogo fatto di sguardi più che di parole pronunciate e udite. Perché Renata e Cecilia non sono due amiche qualunque. Di anni, in due, ne contano 217. Si sono riviste l’altro giorno nella confortevole sala d’attesa di villa San Giusto, la residenza per anziani, già villa Locatelli, trasformata in ospedale nel 1920, quando Renata e Cecilia imboccavano l’adolescenza. Quella villa San Giusto dove, nell’agosto 1957 moriva Umberto Poli, in arte Umberto Saba.

Renata e Cecilia, gemme viventi, custodi, memorie della grande storia goriziana. Renata, 109 anni a maggio, è sorella di Tullio Crali, artista di fama internazionale, battistrada dell’aeropittura avanguardia del movimento futurista. Cecilia è Cecilia Seghizzi, nata il 5 settembre 1908. Musicista, compositrice, artista, figlia di quel Cesare Augusto insigne musicologo. Sono tra le ultime figlie di quella Nizza austriaca sognata e rimpianta da generazioni di goriziani.

Il loro incontro è stato come scorrere l’indice di un libro sulla storia del Novecento. E quanto sentimento sgorga nei loro ricordi, aneddoti pudibondi di amori perduti. «Mio marì da ragazzo era innamorato di te», confessa Renata a una sorpresa Cecilia: «E chi iera tuo marì?». «L’ingegner Grion». Ecco riaffiorare in Cecilia un ricordo lontanissimo, una gita scolastica e il futuro ingegnere che, impacciato, dona un cioccolatino a forma di cuore a Cecilia. Ridono insieme le due amiche; Renata ha i capelli candidi, lunghi e lisci raccolti in una coda sbarazzina. Indossa una giacca blu di lana pettinata, elegante e sobria. Cecilia è protetta da un golf grigio, camicetta bianca, fresca di messa in piega. Renata è nata nel maggio del 1907 a Zara, «mia madre era di Spalato, mio papà di Buccari. Che bel papà che gavevo. Tutti i maschi di Buccari dovevano per forza diventare marinai della Marina austriaca. Mio padre ha navigato in tutto il mondo. Ho imparato a nuotare per imitare mio papà». La dottoressa Adriana Fasiolo, medico curante di Renata, è la regista dell’incontro. Si presta dolcissima a fare d’interprete perché i 217 pesano soprattutto sull’udito.

«E Cecilia, da giovane te ieri furbetta», se ne esce improvvisamente Renata, che alterna il dialetto a un italiano impeccabile. «Chi l’avrebbe mai detto che saremmo diventate due veterane», chiosa orgogliosa la signora Crali. Il termine vecchie è bandito, sono giovani dentro, pieni di interessi. Cecilia legge e ha dipinto i suoi acquerelli fino a pochi anni fa. Vive in casa assistita dalla signora Diana. Renata è appena arrivata a villa San Giusto. Abitava da sola in un appartamento di un palazzo di corso Italia costruito chissà quando proprio dall’ingegnere Grion. «E fino all’anno scorso trascorrevo le vacanza in un bungalow a Salvore. Che bel butarse in mare quando arriva l’onda». Già, Salvore. Posata in un angolo della cinta del vecchio cimitero una lapide di marmo bruno ricorda l’ultima dimora di Enrico Mreule, Rico per gli amici Nino Paternolli e Carlo Michelstaedter. Quel Rico eternato nelle insuperabili pagine di “Un altro mare” di Claudio Magris.

Per Renata e Cecilia è il momento delle fotografie, dell’abbraccio di suor Paola. La dottoressa Fasiolo taglia fettine sottili di crostata, le porge alle due amiche che allungano mani trasparenti di carne consumata dagli anni. Le mani tremolanti accolgono il dolce come fanno i bambini quando vogliono scoprire il cibo dei grandi. «A me invece mi hanno buttato giù dal molo di Barcola perché imparassi a nuotare»; è Cecilia che parla, quasi a se stessa. «È stato un ragazzino», e chissà che fine avrà fatto con due guerre mondiali a stringere l’orizzonte. «Sì, mio fratello era un po’ matto», se ne esce Renata parlando di Tullio. Cecilia ride ma chissà se ha capito.

E adesso, care amiche, è l’ora di riposare. «Che sorpresa questo incontro, speriamo di rivederci» sospirano, commosse, entrambe. E poco importa se la gambe, a 217 anni, hanno la forma di ruote.

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