Trieste, molestie a Barcola: libero dopo sei mesi
Scarcerato in attesa di giudizio l’afghano accusato di “attenzioni” su una 13enne. Per i giudici il caso non è chiaro

TRIESTE Libero in attesa di giudizio dopo quasi sei mesi dietro le sbarre. Libero di andarsene dalla prigione e di provare a farsi una vita (a meno che poi non prenda una condanna oltre i due anni che non gli darrebbe la condizionale) anche se “vita da uomo libero”, per il ventinovenne Kahn Sinzai Rozi, significa ora come ora non sapere dove andare, dove dormire, dove mangiare, a chi chiedere aiuto, se non ad altri connazionali visto che altro non parla se non il pashtun, la lingua in uso in Afghanistan, il Paese da cui è arrivato a Trieste lungo la rotta balcanica a metà luglio, prima di essere arrestato per presunte molestie nel mare di Barcola ai danni di una ragazzina di 13 anni.
Il colpo di scena, giuridicamente parlando, è piombato su Foro Ulpiano ieri pomeriggio, in coda a un’udienza lunga e drammatica, durata praticamente tutta la giornata, nel corso della quale sono stati sentiti tra gli altri come testimoni (rigorosamente a porte chiuse, trattandosi di minorenni) oltre alla stessa ragazzina anche il cuginetto e un’amichetta, di tre anni più giovani della presunta vittima, che si trovavano nei paraggi quando Rozi le si è avvicinato.
Il collegio del Tribunale penale chiamato a giudicare il profugo (presieduto dal giudice Enzo Truncellito e composto dai giudici a latere Marco Casavecchia e Barbara Camerin) alla fine di tale udienza ha disposto infatti, insieme alla scarcerazione dell’imputato in attesa di giudizio, il rinvio della sentenza ritenendo necessaria una cosiddetta integrazione istruttoria, da tenersi nella prossima udienza fissata al 3 marzo, dove per integrazione istruttoria s’intende in questo caso un’ulteriore deposizione in aula di uno dei testimoni già sentiti.
Dato per scontato che i tre rappresentanti delle forze dell’ordine che sono intervenuti quel pomeriggio del 21 luglio su segnalazione della zia della ragazzina per fermare Rozi e un suo connazionale (due agenti di polizia locale e un carabiniere) hanno esaurito ieri le proprie deposizioni, restano i tre minori.
Non è dato sapere, posto che l’udienza si è svolta a porte più che chiuse, blindatissime, quale dei tre “testi” i giudici abbiano ritenuto necessario risentire, ma si può presumere possa essere la presunta vittima dal momento che le audizioni dei due testimoni più piccoli sono durate molto poco, non più di dieci minuti ciascuna, il che fa dedurre siano state considerate sufficienti.
L’integrazione istruttoria, da quel poco che si è appreso a udienza finita, è stata motivata dal collegio con quella che, tecnicamente, si definisce “lesione” del diritto di difesa, in quanto gli atti dell’inchiesta facevano perno su un cd audio contenente le deposizioni rese dalla ragazzina ai carabinieri subito dopo le presunte molestie, e non sui consueti verbali scritti, cosa che non ha consentito di fatto alla difesa dell’afghano le eventuali cosiddette contestazioni in caso di versioni discordanti tra le dichiarazioni fatte a caldo in estate e quelle venute a freddo, ieri, in Tribunale.
Ma l’integrazione istruttoria, si è limitata a spiegare a tale proposito l’avvocato Esmeralda Di Risio del foro di Pordenone, che difende Rozi insieme al collega triestino Andrea Cavazzini, sarebbe nel contempo il riflesso delle contraddizioni emerse nel corso dell’istruttoria di ieri, ovvero durante le deposizioni dei minori.
Non sono stati d’altronde, va detto, momenti in cui s’è respirata aria leggera. A un certo punto, in attesa che cominciasse l’udienza, la ragazzina, il cuginetto e l’amichetta - accompagnati chiaramente dai genitori - si sono ritrovati a pochi metri da quello che ricordavano essere l’uomo “cattivo”. Un uomo arrivato in manette, accompagnato da due guardie carcerarie in divisa, una vera divisa da guardia, che tenevano la pistola d’ordinanza, una vera pistola, nella loro fondina.
Niente scuola, ieri, per i “testi”, ma una lezione di realtà. Si sono intrattenuti brevemente con il pm Antonio Miggiani. Rozi, intanto, parlava con interprete e difensori: stavolta non era vestito col caftano color deserto ma da occidentale: maglione viola, pantaloni grigi, scarpe sportive. La presunta vittima, entrata in aula serena, a un certo punto è uscita in lacrime, assistita da una cancelliera. A scuoterla, da quanto si è appreso, una serie di domande avanzatele dalla difesa non sul fatto oggetto del processo ma sulla sua vita privata.
All’ultimo atto dell’udienza, quando se n’erano ormai andati tutti i testimoni, la lettura del dispositivo di rinvio e scarcerazione da parte del giudice Truncellito. Non appena l’interprete gli ha fatto capire che era libero, Rozi si è messo a piangere e ha ringraziato i suoi avvocati. Poi le guardie l’hanno scortato fino al furgone della polizia penitenziaria, con cui è stato riaccompagnato al carcere di Pordenone dove sono state sbrigate le pratiche di scarcerazione immediata. È stato dunque a Pordenone, perché lì era rinchiuso, e non a Trieste, che ha passato la sua prima notte da profugo e non da detenuto dopo quasi sei mesi.
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