Trieste, sgomberato il Silos: Sos del sindaco a Roma
Con l’arrivo del freddo evacuati 63 stranieri. Ma adesso Valmaura scoppia. Roberto Cosolini scrive al Viminale: «Non ce la facciamo. Trasferite subito le eccedenze»

TRIESTE Un rifugio lercio e abusivo (il Silos) sgomberato al primo freddo, nella speranza che non torni a riempirsi. Un centro d’accoglienza dichiaratamente temporaneo (il capannone di via Rio Primario) che straripa di ospiti: ora ce n’è uno di troppo ogni tre, quattro letti regolarmente occupati. E una lettera (firmata da Roberto Cosolini e indirizzata anzitutto al Viminale) in cui il Comune si professa, una volta per tutte, non più in grado di tenersi un carico di profughi che tutto sommato (compresi i minori non accompagnati e i richiedenti asilo a carico della rete ministeriale dello Sprar) è vicino alle 1.200 unità.
Sono ore frenetiche, queste, tra stanze del potere cittadino e uffici chiamati a gestire l’emergenza migranti. Ore di azioni a loro modo plateali, simboliche. Di scelte politiche senza ritorno, senza la minima possibilità di ripensarci a meno che non si abbia il fegato di rimettersi poi al pubblico ludibrio, con la campagna elettorale alle porte. Proprio ieri il sindaco ha spedito una lettera a Stato e Regione in cui comunica che Trieste è in sostanziale “overbooking” e non ce la fa più. Non può più neanche immaginare di andare avanti a riempire i propri catini mentre in casa le continuano a piovere disperati dalla rotta balcanica. Serve insomma una condotta, bella larga, in cui far defluire i profughi di troppo.
Nel 2015 - come evidenziato nella missiva al prefetto Mario Morcone, capodipartimento Immigrazione del ministero dell’Interno, al prefetto di Trieste Francesca Adelaide Garufi e all’assessore regionale competente Gianni Torrenti - le presenze dei richiedenti asilo in città sono aumentate dell’84% «mentre a livello nazionale la situazione si è dimostrata sostanzialmente stabile. Le persone accolte nel capoluogo oggi sono 4,41 ogni mille abitanti, tre volte la media nazionale».
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Da qui la richiesta che «i richiedenti asilo in eccedenza vengano trasferiti quanto prima, e successivamente che tali trasferimenti, in Regione o in altre parti del Paese, siano costanti almeno per 80 persone la settimana». «La richiesta che ho trasmesso - spiega Cosolini - non è un arretramento da una responsabilità che ci siamo assunti con efficienza, collaborazione istituzionale e umanità, ma risponde all’esigenza di garantire condizioni di dignità e sicurezza alle persone e di assicurare il rispetto del principio in base al quale tutti sono chiamati a fare la loro parte nel Paese e in Friuli Venezia Giulia, perché solo così la gestione di questa emergenza epocale è sostenibile per Trieste e per i triestini».
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Il messaggio del sindaco, in questo caso, a prescindere da quali siano i risultati sortibili nel concreto e nell’immediato, pare dunque forte e chiaro. Se di settimana in settimana non se ne andranno più rifugiati di quanti ne possano arrivare, Trieste non riuscirà più a garantire neanche quella primissima accoglienza che il suo essere avamposto italiano dei Balcani volente o nolente le assegna. Anche perché sabato il Silos è stato svuotato. Da allora se qualcuno ci è tornato (e già ieri s’era formato un manipolo di occupanti) o è nuovo di queste parti oppure predilige un putrido addiaccio a un posto riscaldato, il che legittima l’idea che non voglia farsi aiutare né seguire, e con tutti i pensieri che si possono fare in proposito. Tant’è. Quello del week-end è stato uno sgombero senza l’uso della forza né dell’autorità pubblica. «Preferisco chiamarlo intervento umanitario», precisa Gianfranco Schiavone, presidente dell’Ics (il Consorzio italiano di solidarietà titolare della gestione dell’accoglienza insieme alla Caritas su input di Comune e Prefettura), che con i suoi operatori ha rotto gli indugi sabato all’ora di pranzo, mentre montava la bora scura. «Ci siamo presi la responsabilità di farlo per un senso di umanità e giustizia», aggiunge Schiavone lasciando intuire che fosse stato per l’Ics lo sgombero sarebbe arrivato anche in assenza di coordinamento del Comune (che c’è stato) e della Prefettura (che è stata coinvolta a sua volta dal Comune).
Alla fine le persone portate via dal Silos sono state 63. Spalmate tra la Comunità di San Martino al Campo, le strutture di accoglienza diffusa dell’Ics, a cominciare da via Bonomo, e soprattutto il capannone di via Rio Primario, che a quel punto ha sfondato il tetto massimo di ospiti: ieri se ne contavano 94 per 74 posti letto ufficiali. «È chiaro si tratta di una situazione emergenziale, di qualche giorno», puntualizza Schiavone. E adesso? «È una buona domanda», sospira l’assessore al welfare Laura Famulari. È per questo, fa capire, per un quadro fattosi insostenibile, che è partita la lettera del sindaco. «Il nostro obiettivo è poter dare un’accoglienza dignitosa», chiosa Famulari, sfogliando i numeri aggiornati al 20 novembre: 871 richiedenti asilo in carico alla rete di accoglienza locale (a fronte di una “dose” che il sindaco nella missiva ritiene affrontabile attorno alle 700, 750 unità) più 119 ospiti in carico invece allo Sprar ministeriale, più ancora un paio di centinaia di minori non accompagnati.
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