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«Chiusi a chiave e minacciati dalla preside»

L’ex dirigente scolastica Raciti, assieme allo staff, sul banco degli imputati dopo la denuncia di alcuni dipendenti e docenti

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L’ex dirigente scolastica della primaria Duca d’Aosta di Monfalcone, Maria Raciti, aveva un metodo piuttosto originale per convincere i sottoposti a fare quello che lei disponeva: li convocava nella sua stanza e chiudeva a chiave la porta facendo sparire le chiavi.

Una prassi che l’ha portata ad essere imputata nel processo che si è aperto l’altro giorno al Tribunale di Gorizia. Secondo l’accusa sostenuta dalla Procura di Gorizia (pm Martorelli) sono stati almeno sei i casi ascrivibili all’ipotesi di reato di violenza privata aggravata.

L’indagine, che ha esplorato tre diversi casi accaduti nell’anno scolastico 2010-2011, ha preso le mosse da alcune denunce presentate da insegnanti e amministrativi: al processo sono dieci le parti offese (avvocati Lisa Macoratti e Vincenzo Martucci).

Ma Raciti è in buona compagnia. Sul banco degli imputati anche l’ex responsabile amministrativa Maria Terzita Bonica e la segretaria Giuseppina Papi. C’è una quarta imputata che deve rispondere del reato di abuso di mezzi di correzione: è la maestra Rosa Rega.

Nella prima udienza hanno deposto quasi tutte le parti offese. Le testimonianze hanno permesso di ricomporre un quadro inquietante di quanto sarebbe avvenuto nella Duca d’Aostra, scuola piuttosto problematica, per usare un eufemismo. Va detto che Raciti ha lasciato Monfalcone già alcuni anni fa e il suo passaggio nella storica elementare cittadina non sarà ricordato nelle feste di Natale.

Tra i tanti episodi rievocati in aula quello del 10 maggio 2010 è emblematico. La parte offesa, una segretaria, ha ricordato come senza alcun motivo apparente è finita per essere una vittima della dirigente. «Mi affidava ogni giorno nuovi incarichi, avevo la scrivania ingombra di pratiche mentre altre colleghe godevano di ben altro trattamento. Quel giorno, giunta in ufficio, trovai un nuovo incarico. Andai dalla preside per chiederle quale lavoro dovevo svolgere per primo. La preside e la segretaria tenevano sempre chiusa la porta e per parlare con loro bisognava annunciarsi, talvolta prenotarsi o fare lunga anticamera. Quel giorno il colloquio con la preside, che mi accolse chiudendo la porta a chiave, si concluse con un diverbio e con nuove minacce nei miei confronti. Era presente anche Bonica. Quando uscii dall’ufficio ero sconvolta, stavo male. Un collega nel vedermi in quello stato chiamò il 118 ma Raciti telefonò subito dopo al 118 per bloccare il soccorso. Minacciò poi il collega che era assunto a tempo determinato e quindi più vulnerabile di altri. Ma il mio malore si aggravò; andai in bagno a vomitare. Di nuovo il mio collega chiamò il 118 e fui trasportata all’ospedale. Successivamente andai al commissariato di polizia a raccontare quanto mi era successo».

In tutte le altre testimonianze torna l’elemento dei ricevimenti a porta chiusa a chiave da parte di Raciti.

Nei colloqui succedeva di tutto, secondo quanto raccontato dai testi: minacce, proposte di firmare documenti segreti per mettere contro insegnanti, richiesta di ottenere informazioni riservate e via di questo passo.

Un insegnante di religione, all’epoca precario, fu minacciato di provvedimenti disciplinari perché aveva aderito alla richiesta di una collega di controllare la sua classe per alcuni minuti, in quanto bisognosa di andare ai servizi igienici.

Una insegnante di sostegno ricorda come sia stata convocata tre volte nell’ufficio della preside e per altrettante volte Raciti abbia chiuso la porta a chiave. «Non mi piaceva quell’atteggiamento. In un’occasione mi intimò di non parlare più con una determinata collega che, a suo dire, mi sparlava alle spalle. Voleva che io sottoscrivessi una dichiarazione non ufficiale che Raciti avrebbe conservato nel suo cassetto e tirato fuori al momento opportuno. Insinuò anche che mi conveniva non rapportarmi con i sindacati nella mia veste di Rsu. In 27 anni di carriera non mi è mai successa un’esperienza del genere».

Sarà compito delle difese (avvocato Luigi Genovese per Raciti e Bonica, avvocato Falagiani per Papi e avvocato Alberto Tofful per Rega) smontare il castello di accuse. Nella prima udienza i difensori nel controesame dei testi hanno puntato sul particolare aspetto psicologico delle parti offese che avrebbe per così dire dilatato la realtà dei fatti.

Si specifica che la dirigenza attuale della Duca d’Aosta non ha alcun legame con i fatti oggetto del processo.

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