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Più 38%. In un solo anno. Diventa sempre più abituale (l’assessore provinciale al Lavoro Ilaria Cecot utilizza l’aggettivo “sconsiderato”) il ricorso dei voucher nel mondo del lavoro. Negli anni precedenti, in tutta regione (e la nostra provincia non si sottre al fenomeno), si è progressivamente passati da meno di 250.000 voucher venduti nel 2009 a 2,7 milioni nel 2013. Una tendenza, secondo Ires Fvg, che risulta comune all’intero territorio nazionale: dopo una fase di sperimentazione iniziata ad agosto 2008 in occasione delle vendemmie, infatti, l’utilizzo dei buoni-lavoro ha registrato una crescita esponenziale. La nostra regione si conferma ai primi posti a livello nazionale (sesta dopo tutte le grandi regioni del Nord: Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Toscana) con dei valori decisamente superiori al suo peso demografico ed economico (nel 2014 il 5,5% degli oltre 69 milioni di voucher complessivamente venduti in Italia).

Altri dati importanti: il ricorso al lavoro accessorio in Friuli Venezia Giulia (e in tutta Italia) ha riguardato principalmente il terziario: nel 2014 commercio, servizi e turismo hanno assorbito oltre la metà del totale dei voucher (1,9 milioni su 3,8). L’unico settore che ha mostrato una flessione nel 2014 è quello dell’agricoltura (-7%), ossia proprio il comparto per cui era stato concepito originariamente questo strumento.

«Questi strumenti - commenta l’assessore Cecot - erano stati introdotti con un nobile intento: far emergere il lavoro nero. Sino all’anno passato si poteva lavorare per un massimo di 5mila euro l’anno. Dal 2015 la cifra è salita a 7.500 euro. Peraltro, i voucher, essendo erogati dall’Inps e acquistabili persino in tabaccheria, sfuggono ai controlli dei Centri per l’impiego. Intendiamoci: l’intendimento originario non era affatto sbagliato, i voucher nascevano per l’agricoltura e, soprattutto, per i vendemmiatori. E lo sviluppo successivo che ci preoccupa». Perchè? «Settemilacinquecento euro l’anno cominciano a diventare una cifra importante e ci viene il sospetto che i voucher vengano utilizzati per sostituire forme contrattuali che potrebbero essere, invece, “fornitrici” di maggiori garanzie per il lavoratore».

Insomma, si corre il rischio che i buoni-lavoro prendano gradualmente il posto dei contratti a tempo determinato. «Per questo, in occasione del recentissimo incontro a Monfalcone, mi sono sentita di sottoporre la questione al sottosegretario al Lavoro Teresa Bellanova. La sua risposta? Mi ha chiesto di inviarle tutti i dati su quest’utilizzo sconsiderato dei voucher. La situazione verrà attentamente monitorata a livello ministeriale».

Si evidenzia, poi, una sempre maggiore facilità di reperimento dei voucher da parte dei datori di lavoro. Il canale di vendita principale dei buoni lavoro in regione non è infatti più costituito dalle sedi provinciali dell’Inps (dove è stato acquistato il 20% dei voucher nel 2014) ma dai tabaccai (che totalizzano il 56%); a seguire si trovano gli uffici postali e la procedura telematica (entrambi con percentuali di poco superiori al 10%). Inizialmente i canali erano solo due, ossia le sedi provinciali Inps e un’apposita procedura telematica. Nel 2010 una convenzione con la Federazione italiana dei tabaccai (Fit) ha introdotto il terzo canale.

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