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“Se lui mi avesse chiesto di uccidermi... io l’avrei fatto”. Quel “lui” è Gino Falcone, oggi cinquantenne, residente a L’Aquila, sotto processo a Foro Ulpiano per violenza sessuale e lesioni per una relazione avuta tra febbraio e agosto 2007 con A.B., seguita all’epoca dalle locali strutture di salute mentale dove lo stesso Falcone era in forze come operatore. E quella disarmante ammissione di sottomissione l’hanno sentita dire proprio da A.B. Mario Novello, Bruno Norcio e Francesca Santoro. Sono i tre specialisti incaricati della perizia psichiatrica sulla stessa A.B. disposta dal collegio penale del Tribunale presieduto dal giudice Filippo Gulotta (giudici a latere Giorgio Nicoli e Massimo Tomassini) per accertare appunto se, all’epoca della relazione con l’amante-padrone, che la costringeva evidentemente anche a pratiche violente e umilianti, la donna fosse consenziente e consapevole.

Ebbene, la risposta resa dai tre periti d’ufficio - che ieri sono stati sentiti in un’udienza dedicata alle loro conclusioni, peraltro contenute nella relazione depositata agli atti il 5 febbraio - non pare passibile d’interpretazioni. Secondo gli esperti - ascoltati alla presenza del pm Lucia Baldovin (che per Falcone aveva già chiesto sette anni e mezzo prima che il Tribunale disponesse l’ulteriore perizia), del legale di parte civile Graziella Delfino di Genova e del difensore dell’imputato Sergio Mameli - si trattò infatti di abuso sessuale e plagio sentimentale. In quel periodo A.B. si trovava, così hanno spiegato i periti, «in condizioni di inferiorità psichica rilevante», e la cosa «era nota a Falcone». Dunque «il consenso non può essere ritenuto valido» poiché la donna «non era in condizioni di esprimere un dissenso». Dalle valutazioni espresse dal collegio peritale è venuta a galla una personalità «border-line», «incapace di difendersi» per quel «vuoto affettivo ed esistenziale», quella «voragine», quell’«abisso» creatosi nella storia personale di A.B. fin dall’adolescenza e accompagnato poi da una grande «impulsività autodistruttiva», che una volta aveva portato la donna addirittura al coma per un’ingestione di farmaci. Lei, prima di incontrare il suo amante-padrone, era riuscita a esternare le proprie sofferenze, raccontandole pubblicamente ad altre persone in cura. Per aiutare e aiutarsi. Aveva scritto anche un libro. Un libro che l’imputato conobbe e che, secondo gli esperti, fu la chiave psicologica di lui per arrivare a lei: «Falcone sapeva perfettamente il curriculum psichiatrico di A.B. La sua abilità psicologica era consistita nel saperle dare le risposte adatte». Un atteggiamento calzante per chi era «alla ricerca inconscia di una persona che le restituisse certezze», che riempisse i vuoti. Ma da lì era nata «una relazione assimmetrica», squilibrata, che pendeva dalla parte di «una persona che a parole le offriva un futuro e poi la umiliava continuamente». Gli incontri sessuali, così è stato ricostruito, sarebbero stati una decina. Dopo i primi approcci «l’aspetto violento e brutale era maltollerato da lei, ma non era stata capace di dire di no». E dopo almeno un paio di questi A.B. aveva tentato «atti autolesionistici» che avevano portato all’intervento dello stesso Falcone: «Da un lato lui la lusingava, “faremo un figlio insieme”, le diceva, e dall’altro la denigrava, “con una come te, che non sa neanche badare a se stessa, non farò mai un figlio”». Un figlio, in tempi più recenti, A.B. l’ha invece avuto. E si è pure sposata. Un’evoluzione «stabilizzante» che, secondo i periti, l’hanno pure resa più consapevole di quanto gli era capitato nel 2007. Prossima udienza, con probabile sentenza, il 2 aprile.(pi.ra.)

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