Negli Usa è caccia ai “mostri” di Srebrenica
Washington indaga su almeno 150 bosniaci ora residenti negli States: rispediti oltreoceano se le accuse saranno confermate
di Stefano Giantin
BELGRADO. Negli Stati Uniti d’America ci sono cento e più persone, di origine straniera, che da qualche tempo dormono sonni agitatissimi. O forse non riescono neppure a chiudere occhio, temendo che le loro nuove esistenze americane siano sul punto di essere spazzate via. Spazzate da un passato oscuro. Che ritorna come un incubo, all’improvviso. Sono i bosniaci – almeno 150 – da anni regolarmente residenti negli States, nel mirino degli ufficiali dell'immigrazione americana e che potrebbero essere presto rispediti oltreoceano, nella loro vecchia patria balcanica, la Bosnia. Questo perché Washington ritiene che abbiano partecipato, in ruoli più o meno apicali, al conflitto degli Anni Novanta, commettendo crimini di guerra. E che siano entrati negli Stati Uniti, ottenendo un regolare visto, dopo aver mentito sul loro passato.
A rivelare il piano dell’U.S. Immigration and Customs Enforcement è il quotidiano New York Times, che durante il week-end ha raccontato di «circa trecento immigrati bosniaci» - ma il numero potrebbe salire a 600 - messi sotto osservazione dalle autorità americane negli ultimi mesi. «Almeno la metà» di loro «avrebbe avuto una parte nel più orribile massacro compiuto in Europa dai tempi della Seconda guerra mondiale, il genocidio a Srebrenica nel 1995», ha scritto il Nyt. Un coinvolgimento non dichiarato al momento di compilare la domanda per richiedere il visto d’ingresso negli Usa, una “distrazione” che, se confermata da indagini, viene severamente punita. In questo caso, ha spiegato sempre il New York Times, la pena sarà «la deportazione» verso il loro Paese d’origine, quello dove avrebbero compiuto crimini contro civili durante il conflitto.
«Più scaviamo, più documenti» compromettenti «troviamo», ha dichiarato Michael MacQueen, responsabile della sezione Crimini di guerra dell’Immigration and Customs Enforcement, aperta nel 2008 per indagare sul passato di immigrati arrivati negli Usa da zone di conflitto, come Sierra Leone, Corno d’Africa, Rwanda, El Salvador e naturalmente i Balcani, focus iniziale del lavoro dell’agenzia. L’Agenzia, pur con fondi sempre più scarsi, sta facendo un lavoro immane, esaminando le schede di migliaia di bosniaci arrivati in America dopo il 1995. Tra di loro tanti ex combattenti del conflitto in Bosnia, oggi con una nuova vita americana e un lavoro. C’è chi allena una squadra di calcio in Virginia, c’è un operaio di una fonderia di Akron nell’Ohio sospettato di crimini compiuti in questo caso in Croazia; quattro sono impiegati in un casinò a Las Vegas; dodici invece i serbo-bosniaci residenti a Phoenix, che secondo il loro legale sarebbero stati sì a Srebrenica come soldati, ma non avrebbero partecipato ai massacri. Erano ragazzi al tempo, soldati di leva, non criminali di guerra.
Ma «gli ufficiali dell’immigrazione» non fanno differenze, vogliono solo «punire qualcuno», sparando nel mucchio, ha specificato l’avvocato Thomas Hoidal. Gli americani non avevano però colpito a caso nel 2004 individuando in Marko Boskic, serbo-bosniaco immigrato negli States, uno degli sgherri di Mladic a Srebrenica. Boskic fu espulso e tradotto in Bosnia, dove è stato condannato a 10 anni di carcere. Se anche i 150 citati dal Nyt seguiranno i suoi passi lo si saprà presto.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
I commenti dei lettori