A Budapest sfilano in diecimila contro Orban
I manifestanti tentano l’assalto al Parlamento al grido di «democrazia». Tensione altissima in piazza

BELGRADO. Le pene del Victor rumeno, Ponta, che ha perso sonoramente le presidenziali contro l’outsider Iohannis sono nulla. Nulla in confronto all’autunno caldissimo che deve affrontare il Viktor magiaro, Orban. Orban che, dopo la sollevazione contro la web tax poi ritirata su pressione popolare, è stato di nuovo stretto d’assedio ieri, per la quarta volta in un mese, da migliaia di manifestanti a Budapest e in altre città magiare. Lì dove era in programma «il giorno della pubblica indignazione», protesta organizzata via Facebook per dire sì «alla libertà, alla trasparenza, a un governo responsabile». E «no alle tasse su Internet», «alla corruzione di Stato», all’«aumento delle imposte», all’«attuale politica estera» del governo, troppo sbilanciata verso Est.
Una serata ad altissima tensione pensata in realtà soprattutto per dire basta a Orban, sempre trionfante alle urne, descritto come un dittatore dalla folla. La tensione ha raggiunto il suo apice a Budapest, epicentro del malessere e di una protesta nata dal basso che è riuscita a mobilitare numeri importanti. Verso le sei di sera, a migliaia - sicuramente più di 10mila secondo le stime più prudenti - sono affluiti in Kossuth ter, la piazza antistante il Parlamento, palazzo quasi deserto, le luci spente. Davanti, una folla imponente ha urlato più volte «Europa, Europa», uno degli slogan più gettonati assieme a quelli a favore del «cambio di regime», della fine del «sistema» di potere» che Orban avrebbe costruito attorno a sé, un sistema che dovrebbe «sparire» dalla scena politica assieme al suo artefice. Fra gli indignati, tanti hanno promesso di non pagare più tasse finché la presidente dell’Ufficio imposte, Ildiko Vida, finita nella “black list” Usa, non si dimetterà.
Una selva di fischi ogni volta che gli oratori menzionavano il partito di maggioranza assoluta, la Fidesz. Tra la folla, oltre a bandiere ungheresi e dell’Ue, ben visibili alcuni cartelli contro il governo. Quello più fotografati, «elég», basta. E un altro su cui era scritto «non si deve mentire e rubare». E neppure far finta di non vedere che anche nella pancia dell’Ungheria c’è un disagio profondo. E rabbia, come quella espressa dalla massa che non voleva mollare la presa sul Parlamento neppure dopo la fine ufficiale della manifestazione.
Un Parlamento assediato, protetto con estrema difficoltà dalla polizia in tenuta antisommossa, mentre la città risuonava delle sirene delle camionette che trasportavano rinforzi. «Allontanatevi, liberate la piazza», l’ordine lanciato dagli agenti nei momenti di massima tensione. Indignati che hanno invece continuato a fischiare, ad asserire di «non avere paura», a rimanere di fronte a un Parlamento che «è casa nostra». E a strillare contro «Viktator», a chiedere al premier di «uscire fuori», a inneggiare alla «democrazia» e a una «Europa» che avrà sempre più difficoltà a credere all’Ungheria pacificata di Orban. (s.g.)
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