L’aula “processa” Torrenti. Serracchiani respinge le accuse
Le opposizioni: «Il caso dell’assessore indagato gestito in modo imbarazzante». La governatrice ribatte: «Ho fatto scelte in linea con la mia sensibilità politica»

TRIESTE. «Le scelte che ho fatto, e che rivendico, sono state dettate da sensibilità politica e non da opportunismo». Debora Serracchiani interviene in aula nel dibattito sul “caso Torrenti”, innescato da una mozione del centrodestra. La presidente della Regione non accetta l'accusa di avere agito in maniera ondivaga tra la campagna elettorale, quando fece firmare un impegno alle dimissioni per gli eventuali indagati, e la vicenda che ha coinvolto l'assessore: «La scelta rispetto a Torrenti è stata lineare e coerente con tutte le decisioni che l’hanno preceduta e tutte le decisioni successive - assicura Serracchiani -. Continuo a pensare che essere indagati per azioni legate alla propria attività politica meriti un’attenzione diversa». Nel caso specifico, aggiunge la presidente, «sono state sciolte le riserve su un'eventuale incompatibilità o conflitto di interesse dell'assessore solo dopo opportune verifiche».
Per il capogruppo di Forza Italia, Riccardo Riccardi, «Serracchiani vive una contraddizione sui principi del garantismo, perché la posizione dell’assessore, prima sospeso e poi a mezzo servizio, non trova precedenti». Riccardi sottolinea «la mancanza di coerenza della governatrice, che adotta la presunzione d’innocenza a fasi alterne: in campagna elettorale ha fatto l'intransigente “grillina” sulle candidature del suo partito mentre di fronte al caso di Torrenti ha adottato un comportamento confuso». Renzo Tondo porta con sé il libro “Io parlo, e continuerò a parlare” di Bettino Craxi: «Fare i conti con la propria storia e con i propri errori è imbarazzante - afferma l'ex governatore -. La presidente si è infilata in un tunnel durante la campagna elettorale». Contraddizione sottolineate anche dal forzista Bruno Marini («Serracchiani ha collezionato una serie di errori e figuracce») e dal capogruppo di Ncd, Alessandro Colautti: «La politica deve mantenere un atteggiamento serio, non va brandita la spada della questione morale per vantaggi elettorali». Per Barbara Zilli (Lega) «la presidente ha usato certe affermazioni in alcuni momenti, cambiando linea in altri» e anche il Movimento 5 Stelle, che non ha partecipato al voto sulla mozione (respinta dal centrosinistra e votata dal centrodestra), per bocca della capogruppo Eleonora Frattolin, condivide «la richiesta di coerenza alla presidente».
Mauro Travanut (Pd), da sempre critico sul documento “anti indagati”, ribadisce: «Ho sbagliato a non ribellarmi, quella firma non dovevo metterla». Ma la maggioranza difende l'operato della presidente: «I fatti di cui discutiamo non riguardano l’attività politica di Torrenti», specifica il capogruppo del Pd, Cristiano Shaurli, contrario al principio, contenuto nella mozioni, della presunzione di innocenza fino al terzo grado di giudizio: «In un mondo perfetto sarebbe così, ma nemmeno la politica è stata perfetta». Sulla stessa lunghezza d'onda Pietro Paviotti (Cittadini): «Resto dell'idea che le dimissioni vanno date in caso di rinvio a giudizio». Per Giulio Lauri (Sel) «il tunnel non è quello in cui si è infilata la presidente in campagna elettorale ma quello in cui è stata portata quest'aula nelle precedenti legislature». Chiaro riferimento alle inchieste sulle “spese pazze” a Palazzo.
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