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Il Kosovo “conquista” il club olimpico

Il Cio concede una storica legittimazione seppur provvisoria a Pristina. Belgrado protesta. A dicembre il voto decisivo

di Stefano Giantin
1 minuto di lettura
Un piccolo tifoso kosovaro durante una partita di calcio 

BELGRADO. Droni, bandiere usate come provocazione e incidenti interetnici sono una faccia della medaglia. L’altra, più bella, è fatta invece di coraggiosi passi avanti che dimostrano che la regione sa guardare oltre. Regione balcanica “double face” che, dopo la tensione del lungo post-partita di Serbia-Albania, ha registrato in un paio di giorni eventi importanti, quasi storici, per il futuro dell’area. Eventi fino a poco tempo fa inimmaginabili, come la decisione del Comitato olimpico internazionale, il Cio, che mercoledì sera ha annunciato di aver «concesso al Comitato olimpico del Kosovo una legittimazione provvisoria» e di aver proposto che al prossimo meeting del Cio, a dicembre, la provvisorietà si trasformi in definitivo riconoscimento. Fra le motivazioni, quella che il Kosovo è nazione «indipendente riconosciuta dalla comunità internazionale». Per la verità, da 108 membri Onu su 194.

Cosa cambia? Tutto, per gli sportivi professionisti di Pristina, perché «sarà loro permesso di partecipare alle qualificazioni per le Olimpiadi di Rio del 2016 e alle future edizioni dei Giochi». Se fra due mesi andrà tutto per il verso giusto, alla sfilata inaugurale delle prossime Olimpiadi si vedranno sfilare gli atleti kosovari, una prospettiva salutata con entusiasmo, a Pristina. I più felici saranno gli sportivi che scesero in piazza in Kosovo nell’estate del 2000, insieme al campione di pugilato Aziz Salihu, medaglia di bronzo jugoslava a Los Angeles 1984. Posto che, trascorso più di un decennio, siano ancora in attività. «Sì a uno sport senza discriminazioni», «non vogliamo essere vittime della politica», gridavano.

E l’eco di quegli slogan, quattordici anni dopo, potrebbe produrre un risultato storico. Il passato continua però a pesare. L’Olimpijski komitet serbo è insorto, ha marchiato come «inaccettabile» la decisione del Cio e auspicato che si faccia marcia indietro, a dicembre. I bookmaker dicono però che le speranze serbe difficilmente si tradurranno in realtà. Questo anche perché i rapporti tra Belgrado e Pristina sono cambiati. Non del tutto “normalizzati”, ma la strada della riappacificazione fra governi è tracciata.

Lo ha confermato ieri anche l’arrivo a Belgrado del numero uno della diplomazia kosovara, Enver Hoxhaj, in città per un vertice coi colleghi balcanici degli Esteri e delle Finanze, senza simboli nazionali esposti. «La mia visita in Serbia è la prima di un ministro degli Esteri del Kosovo, sono tornato qui dopo 25 anni», ha detto Hoxhaj. Visita che è un segnale della «normalizzazione dei rapporti» tra «Paesi sovrani e indipendenti», ha rimarcato il ministro, prima di specificare che «il dialogo» dovrebbe portare, nelle intenzioni di Pristina, «al riconoscimento del Kosovo» da parte della Serbia e alla «sua ammissione alle Nazioni Unite». Difficile tutto ciò accada presto. Ma intanto la pace – olimpica o meno che sia – tiene.

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