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Risparmi spariti, Slovenia condannata

La Corte europea dei diritti dell’uomo impone di restituire 500 milioni di euro agli ex correntisti della Ljubljanska Banka

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TRIESTE. Signori, si paga. È un conto salatissimo quello presentato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo alla Slovenia: circa 500 milioni di euro. Tutto nasce dalla sentenza che ha condannato, in secondo grado, Lubiana nella causa intentata da due cittadini bosniaci Emina Ališi„ e Aziz Sadžak. I due, come tanti altri, avevano un libretto bancario nella Ljubljanska Banka, istituto di credito “morto” assieme all’allora Repubblica federativa socialista di Jugoslavia e il cui patrimonio fu trasferito con l’attuazione di una legge costituzionale slovena del 1994 alla Nova Ljubljanska Banka. I due bosniaci hanno trascinato in tribunale la Slovenia accusandola di aver impedito di disporre dei propri risparmi e di aver leso i diritti loro garantiti dalla Convenzione europea sui diritti dell’uomo. E la Corte europea ha emesso la sua sentenza che è definitiva e che obbliga, tra l’altro, Lubiana a versare ai due proponenti la denuncia 4mila euro a titolo di risarcimento dei danni immateriali subiti.

Ma è logico che la sentenza va molto al di là dei 4mila euro. Emessa all’unanimità la decisione dei giudici di Strasburgo respinge il ricorso sloveno presentato in merito alla sentenza del 2012 nel caso Ališi„-Sadžak, stabilisce che la Slovenia ha leso i diritti dei risparmiatori in Bosnia-Erzegovina e ordina a Lubiana di trovare nell’arco di un anno il modo di risarcire in maniera sistematica queste persone. Si tratta di una sentenza definitiva e riguarda tutti i risparmiatori della Ljubljanska Banka nell’ex Jugoslavia che condividono lo status giuridico dei risparmiatori della Bosnia-Erzegovina che si sono rivolti a Strasburgo.

E se Zagabria e Sarajevo ridono, la Slovenia è sull’orlo di una crisi di nervi. Delusa la rappresentante di Lubiana alla Corte dei diritti dell’uomo Nataša Pintar Gosenca la quale afferma che la posizione slovena «era pienamente documentata e provava come l’intera questione ricada nel problema della successione alla Jugoslavia». Il ministero delle Finanze sloveno non commenta ma precisa che prima dovrà essere attentamente esaminata la motivazione della sentenza. La premier dimissionaria Alenka Bratušek si dice «amaramente delusa» dalla sentenza «in quanto sostenevamo che il tutto vada risolto nell’ambito della successione alla Jugoslavia» e, quindi, il risarcimento suddiviso tra gli eredi, mentre Strasburgo condanna “solo” Lubiana.

Se la ride, invece, il ministro degli Esteri croato, Vesna Pusi„. Ricordiamo che il lungo contenzioso sulla Ljubljanska Banka tra Lubiana e Zagabria si è momentaneamente concluso con il memorandum firmato dai due Paesi a Mokrice nel 2013 e nel quale si “trasportava” la questione in quella della successione all’ex Jugoslavia. Ebbene la Pusi„ afferma che la sentenza «dimostra che tale questione non fa parte del tema della successione alla Jugoslavia, è la conferma che si tratta invece di un problema inerente al rapporto tra concreti risparmiatori con una concreta banca». La responsabile degli Esteri del governo Milanovi„ precisa, infine, che nel caso della Croazia la sentenza riguarda unicamente i risparmiatori dell’ex Ljubljanska Banka cui il governo croato non ha restituito il danaro facendo ricadere il risarcimento nel debito pubblico di Zagabria. A spanne si tratterebbe di circa 150 milioni di euro a cui si dovranno aggiungere gli interessi. Per quanto riguarda il “versante” bosniaco, invece, la somma da restituire sarebbe, calcolata all’anno 1991, di 250 milioni di marchi cui, ovviamente, bisognerà aggiungere gli interessi. Insomma per Lubiana uno “schiaffo” che potrebbe toccare i 500 milioni di euro e con un Paese allo stremo per la pesante crisi economico-sociale e con un sistema bancario al collasso la sentenza di Strasburgo rischia di decretarne la bancarotta.

Ora la Slovenia dovrà emanare una legge speciale in quanto la defunta Ljubljanska Banka, ossia l’istituto che a suo tempo aveva emesso i libretti di risparmio dei cosiddetti vecchi depositi in valuta estera, non dispone più di nessun bene.

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