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Auto blu: Ballaman condannato rischia il processo-bis

La Corte d’appello conferma la sentenza di un anno per peculato e rinvia alla procura la scelta di procedere per abuso d’ufficio contro l'ex presidente leghista del Consiglio regionale

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TRIESTE. Confermato l’anno di reclusione e di interdizione dai pubblici uffici. E potrebbe non bastare. La Corte d’Appello, oltre a convalidare la sentenza di primo grado per peculato a carico di Edouard Ballaman, ha deciso la ritrasmissione degli atti alla Procura ai fini della possibile apertura di un filone parallelo per abuso d’ufficio - cioè di un secondo reato contro la pubblica amministrazione, in vista così di un eventuale processo-bis - su cui, invece, il Tribunale penale, nel 2012, non si era pronunciato.

Colpo di scena a Foro Ulpiano dunque, ieri, nel giorno del processo di secondo grado per la storia delle auto blu che lo stesso ex presidente del Consiglio regionale aveva voluto impugnando la sentenza di due anni fa. Alla fine Ballaman ne è uscito peggio di come ne era entrato. La Seconda sezione della Corte d’Appello presieduta dal giudice Piervalerio Reinotti, e composta dai giudici Vittore Ferraro e Fabrizio Rigo, ha inteso in effetti stralciare la parte del presunto utilizzo indebito dell’autista da quella riguardante invece l’uso indebito della macchina di rappresentanza. Nella sentenza di primo grado, invece, tutto era rientrato sotto il “plafond” del peculato, ipotesi di reato riferibile esclusivamente, dal punto di vista giuridico, proprio a un bene inanimato, mentre le risorse umane ne erano, formalmente, rimaste fuori.

Per la Corte d’Appello, invece, quella “quota”, e dunque l’ipotesi di reato di abuso d’ufficio, va riconsiderata dalla casella di partenza dell’intero procedimento: la Procura, ovvero il luogo da cui, segnatamente dalla scrivania del pm Federico Frezza, il caso Ballaman aveva preso una certa piega con la contestazione all’allora presidente di piazza Oberdan di una trentina di viaggi in auto blu non strettamente connessi al ruolo istituzionale.

Ieri, com’era ovvio che fosse, essendo i processi di secondo grado prerogativa della Procura generale, il pm Frezza non c’era. A sostenere la pubblica accusa c’era nell’occasione il sostituto procuratore generale Paola Cameran, che ha chiesto la conferma del primo grado o, in subordine, che la sentenza venisse riqualificata proprio in base ai crismi del reato dell’abuso d’ufficio, ritenendone l’entità «forse sottodimensionata». La giornata è finita oltre le sue stesse richieste. Conferma più stralcio per abuso d’ufficio, e non l’una che escludeva l’altro o viceversa. «La destinazione a fini personali dell’auto di rappresentanza - così Cameran - ha carattere di eccezionalità», ma la vicenda Ballaman «sembra ribaltare la regola», configurandone un uso indebito «non sporadico ma sistematico», con tanto di «utilizzo dell’autista al di fuori dei suoi compiti», poiché determinati viaggi erano avvenuti «per funzioni di partito» e non a scopi istituzionali,o ancora «per accompagnare da e verso l’aeroporto i parenti del Sudafrica». Per la Procura generale, insomma, «non c’è mancanza di dolo».

Non c’era come detto Frezza ma c’era, a sorpresa, l’imputato, da tempo ospite proprio in Sudafrica dai parenti, e scortato ieri in aula dai suoi due avvocati di fiducia, Luigi Fadalti di Treviso e Mauro Anetrini di Torino, che ne hanno richiesto l’assoluzione «perché il fatto non sussiste» insistendo in particolare sull’inapplicabilità, al caso, del decreto firmato nel 2007 dall’allora governatore Illy che parlava appunto dell’utilizzo delle auto blu. «Una cosa - l’arringa di Fadalti - sono i veicoli di istituto, cioè quelli utilizzati da personale dipendente della Regione per esclusive ragioni di servizio, un’altra sono quelli di rappresentanza, il cui uso è consono alle funzioni politiche. Il presidente Ballaman, peraltro, in passato era stato oggetto di minacce e l’autista gli era stato attribuito anche per questioni di sicurezza. Il tragitto dalla casa al Consiglio regionale, ad esempio, certo di questi tempi può essere un fatto poco gradito, poco popolare, ma non prefigura una violazione consapevole di una non meglio precisata disciplina». Non meglio precisata perché - l’eco di Anetrini - «non è corretto dire», a proposito del decreto di Illy del 2007 , «che si tratti di regolamento», poiché «una norma per avere valore penale deve essere recepita immediatamente dal punto di vista penalistico. Manca quindi l’appropriazione perché a mancare è la stessa regola».

@PierRaub

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