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Il museo prigioniero del Porto Vecchio

Alla centrale idrodinamica restaurate con fondi europei 4 macchine a vapore ma con i nuovi divieti chi le vedrà?

Claudio Ernè
3 minuti di lettura
Un'immagine della centrale idrodinamica 
Off limits, irrragiungibili o quasi ai triestini e ai turisti. Le drastiche limitazioni all’accesso del pubblico alla bretella del Porto Vecchio introdotte di recente dalla presidente dell’Authority Marina Monassi, si ripercuotono sulla Centrale idrodinamica, sulla appena restaurata sala macchine e sulla Sottostazione elettrica. Quest’ultima è stata inaugurata ad aprile dopo un’attesa di almeno sei mesi ed è stata aperta solo per un paio di giorni. Poi porte sbarrate e silenzio fragoroso sul futuro. Questi tre siti, restaurati con denaro pubblico per il loro valore a livello di archeologia industriale, ora sono ostaggi delle drastiche misure di presunta “sicurezza” varate dall’Autorità portuale senza nemmeno informare la Prefettura.Chi oggi percorre la bretella che collega Largo Santos al cavalcavia di Barcola, lo fa rischiando le salate multe previste dal Codice della navigazione. Le procedure di accesso non sono chiare: ottenere le autorizzazioni appare ferraginoso e inutilmente penalizzante per chi, come tanti ciclisti e podisti ha eletto quest’area a proprio spazio di ricreazione e allenamenti. Va aggiunto che parecchi milioni di euro usciti dalle casse europee per realizzare questi restauri, appaiono spesi in malo modo perché i musei chiusi al pubblico hanno breve vita. Anche l’impegno dei volontari che per almeno due anni hanno garantito ogni giorno le visite del pubblico alla Centrale idrodinamica, appare svuotato, umiliato.Tutto questo accade a pochi giorni della fine dei lavori di restauro della quattro enormi macchine a vapore che dal 1891 al 15 giugno 1988 hanno fornito l’energia necessaria alle 100 e più gru ad acqua del Porto Vecchio. Le macchine “compound” e le caldaie a carbone che le alimentavano, si offrono in tutta la loro bellezza agli occhi dei visitatori della Centrale idrodinamica. Acciaio lucido, bruniture perfette, ottoni che sembrano oro, rame nelle sue variegate sfumature di rosso. Un risultato che va al di là di ogni aspettativa. Ora nella grande sala che le ospita assieme a una quinta di minori dimensioni, il profumo di olio rubricante si mischia a quello delle vernici. L’originale funzionalità è stata ripristinata a beneficio dei visitatori e degli appassionati di archeologia industriale. Le bielle, i pistoni, gli assi, i volani della macchina numero 4 dopo una lunghissima sosta inoperosa valutabile in almeno 35 anni, hanno ripreso a muoversi e mostrano come funzionava il cuore tecnologico del porto, progettato alla fine dell’800 dagli ingegneri asburgici della “Danek & Com.” di Praga.I lavori affidati alle “Officine navali Quaiat” e costati 150 mila euro, sono stati eseguiti attingendo, come dicevamo, ai Fondi europei per la cultura. Il finanziamento è stato scovato e fatto arrivare a Trieste dall’architetto Antonella Caroli, direttore dell’Istituto di cultura marittimo portuale. Sei anni sono stati necessari perché si compisse l’iter burocratico fra i tanti palazzi del frammentato potere italiano. Il traguardo è ora raggiunto, le macchine sono restaurate ma non si sa come le drastiche misure di limitazione all’accesso alla bretella si ripercuoteranno sulla fruibilità per il pubblico. Il restauro delle macchine a vapore della Centrale idrodinamica ha il merito di aver riportato alla ribalta il nome della “Danek & Com.” di Praga. La presenza di questo costruttore all’inizio dello scorso secolo non si era limitata al cuore tecnologico del Porto vecchio ma aveva coinvolto anche gli impianti della Ferriera di Servola. Nel 1905 il consiglio di amministrazione della società aveva deliberato di costruire un secondo altoforno da 240 tonnellate giornaliere esclusivamente riservato alla produzione di ferromanganese. Questo altoforno - come si legge nel volume edito nel 1997 dal Comune di Trieste- “era servito da una seconda centrale a vapore con otto caldaie, tre macchine soffianti a vapore orizzontali “Danek”e cinque dinamo”. La macchina venne messa in funzione nel 1906. Ecco le caratteristiche: due cilindri, alta e bassa pressione il vapore surriscaldato agiva sul cilindro più piccolo ad alta pressione , quindi passava nel cilindro grande a bassa pressione: infine si scaricava nel camino. Secondo i tecnici queste macchine orizzontali avevano l’inconveniente di occupare uno spazio considerevole e anche per questo motivo nel 1912, furono sostituite da un grande motore a scoppio a quattro cilindri costruito dalla Skoda.“La macchina della Danek – scrive Aldo Sturari nello stesso volume - era un capolavoro di ingegneria meccanica , e occupava da sola un capannone. Era lenta nel senso che non face più di 65 giri al minuto, ma aveva una potenza di compressione molto alta. Il vapore proveniva dalla vicine caldaie: pistoni bielle e manovelle si muovevano con un ritmo che si potrebbe dire sinuoso, sembrava che intrecciassero tra loro una danza”. I macchinisti rabboccavano l’olio contenuto in ampolle di vetro, anche con la macchina in movimento, accompagnando il ritmo rotatorio con le braccia”. Questa macchina è stata fatta colpevolmente a pezzi. Al contrario le sorelle installate 25 anni fa all’interno della Centrale idrodinamica, oggi sono ritornate in splendida forma. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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