Omicidio di Longera, 30 anni a Tepeku
Riconosciuto colpevole dell’uccisione della disabile Bruna Cermelli con l’aggravante di aver agito a scopo di rapina

Trent’anni di galera per il delitto di Longera, perpetrato anche a scopo di rapina, col solo stralcio della presunta violenza carnale. Al posto di questa potrebbe un domani essere riconosciuta in un altro procedimento penale - visto che il giudice ne ha disposto la ritrasmissione degli atti alla Procura - l’ipotesi di reato di vilipendio di cadavere, cioè d’un atto sessuale compiuto sulla vittima dall’assassino dopo l’omicidio.
Ieri le tre del pomeriggio erano passate da cinque minuti. E da cinque minuti - perché il giudice Massimo Tomassini ci era entrato proprio alle tre in punto, dopo tre ore e mezza di camera di consiglio - la porta dell’aula delle udienze preliminari, al secondo piano del Palazzo di Giustizia, si era richiusa. Dentro era in corso la lettura del dispositivo di sentenza del processo celebrato con rito abbreviato a carico di Ramadan Tepeku, il giardiniere kosovaro di 41 anni accusato appunto d’aver assassinato il 13 marzo di un anno fa la 75enne invalida Bruna Cermelli nella sua villetta di strada per Longera. Fuori il silenzio più assoluto, come se persino il corridoio fosse in attesa, e al di là di quel portone scuro la voce del giudice: costante come un’omelia in lontananza, indistinguibile nei suoi contenuti. Finché ecco il rumore, ben distinguibile, questo sì, che ha raccontato in tempo reale ciò che era appena stato deciso nell’ultimo atto del processo di primo grado a porte chiuse: il ticchettare delle manette che si stringevano attorno ai polsi di Tepeku. Colpevole. Condannato a trent’anni, oltre che all’interdizione perpetua dai pubblici uffici e a una provvisionale da diecimila euro per le parti civili, il figlio della vittima e la moglie di lui. Trent’anni costituiscono una pena che qui, in un rito abbreviato, risulta essere inferiore solo a quella comminata agli assassini di Gretta Console e Cavalli, cioè l’ergastolo. Ergastolo che, per inciso, era stato comunque chiesto, nella sua requisitoria di una settimana fa, dal pm Massimo De Bortoli, mentre l’avvocato Cesare Stradaioli, il difensore del giardiniere, ne aveva chiesto l’assoluzione sostenendone nell’arringa l’innocenza.
Poco dopo il ticchettare delle manette il portone scuro si è riaperto. Sono usciti il figlio di Bruna Cermelli e sua moglie, accompagnati dal loro legale, Luca Maria Ferrucci. Poi è stata la volta del pm De Bortoli, il cui volto faceva trasparire soddisfazione per l’esito, seguito dal difensore di Tepeku. Una pugno di secondi ed ecco proprio il giardiniere, scortato dalle guardie penitenziarie, vestito di polo bianca che ne esaltava il contrasto con la carnagione. Ha abbozzato un sorriso, effetto presumibilmente dello stato d’animo di chi deve ancora realizzare ciò che gli è successo, e ha salutato con rispetto. «Ciao avvocato», gli ha detto prima di girare lo sguardo per incamminarsi lungo il corridoio, preludio al ritorno nel carcere di Pordenone. Non più da imputato in attesa di giudizio, ma di condannato. «Arrivederci», ha risposto Stradaioli, che ha riferito di meditare già al ricorso in appello. Prima della sentenza, Tepeku aveva vissuto l’attesa in una condizione di apparente serenità. Dopo che si era chiusa verso le 11.30 l’udienza del mattino (in cui lo stesso giudice aveva disposto un approfondimento investigativo d’ufficio chiamando a rispondere il comandante del Nucleo investigativo del Comando provinciale dei carabinieri di allora, il capitano Luciano Summo, e il figlio della vittima) le guardie carcerarie che di primo mattino lo avevano preso in carico, al suo arrivo dal carcere di Pordenone, lo avevano accompagnato nelle camere di sicurezza al piano terra del Tribunale. Aveva mangiato “al sacco”: due panini, un frutto e dell’acqua. Poi, verso le due, era risalito al secondo piano, e si era accomodato in aula, alla “sbarra” degli imputati. Più in là l’interprete garantito per legge, benché Tepeku capisca comunque l’italiano. Si mostrava fiducioso. Aspettava, e fissava spesso il pulpito vuoto del giudice dal quale, alle 15.05, sarebbe stata emessa la sua condanna.
@PierRaub
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