Saba e Ponterosso “arredano” a Tokyo il Caffè Triestino
Il locale di Hidetoshi Ueda, frutto di un intreccio fra amicizie e affari partito dall’America e arrivato fino a piazza Unità

Città di Tokyo. A pochi minuti dalla stazione della metropolitana di Mejiro (si pronuncia proprio come in triestino per dire “mi volto”) si incontrano le porte a vetri del Caffè Triestino. Tra il personale, tutto giapponese, nessuno parla italiano. Hidetoshi Ueda, però, si esprime in un inglese impeccabile. E racconta la storia. Una vicenda di amicizia e affari, attraverso tre continenti.
«Mi sono laureato a San Diego, California. Specializzazione, informatica. Qui sono il proprietario. Cosa c'entra il caffè con il computer? Meno di niente. Io con Trieste? Adesso le dico tutto...». Ueda-san ha 53 anni; ne dimostra meno. Porta in testa un berretto piatto che non toglie mai. Su uno schermo appeso al muro ruotano le immagini di piazza Unità, di Ponterosso, dei palazzi, delle rive. Sulle scansie bottiglie di vino e barattoli di caffè. La macchina per espresso e cappuccino gorgoglia e soffia accanto a un manifesto che porta impresso un marchio: Antica Tostatura Triestina. In un angolo una immagine ritagliata da una foto di Umberto Saba che, con un fumetto e pipa in bocca, racconta. In ideogrammi. Chissà che cosa.
«A San Diego ho incontrato un ragazzo italiano, Riccardo, lì per studiare inglese. Dormivamo nello stesso complesso. Lui poi è tornato in Italia, lavorando nell'ambiente finanziario. Io sono tornato a Tokyo, e mi sono inserito nel settore del commercio dei telefoni cellulari. Ho però chiuso per occuparmi invece del Caffè Triestino quando Riccardo mi ha messo in contatto con un cliente che intendeva aprire una piccola catena di caffetterie. A oggi sono cinque e hanno tutte lo stesso nome: Caffè Triestino. Due qui a Tokyo, una a Kogurazaka, una a Yokohama, una a Osaka».
Il cliente era Alessandro Hausbrandt, proprietario della Antica Tostatura Triestina. Ricorda: «Ai partner giapponesi l'immagine di Trieste è piaciuta molto, così assieme abbiamo deciso di offrire un prodotto dalla forte impronta: non solo caffè, ma anche Trieste. Il signor Ueda per qualche tempo è stato anche il nostro distributore; poi quel tipo di attività, che richiedeva una struttura importante, è stata rilevata dalla Rt Corporation, e Ueda ha trovato il proprio ruolo come proprietario di uno dei locali. L'unico che non sia del grande gruppo. Noi continuiamo a offrire il nostro caffè e la nostra consulenza – immagine della città, cucina tipica - per tutto ciò che è Trieste. Sperando, prima o poi, che anche a Tokyo basti citarla perché si sappia dove è, senza dover aggiungere: a nord est di Venezia...»
Hidetoshi Ueda: «Io a Trieste sono venuto spesso. Per un certo periodo, quasi una volta l'anno. Ora manco da tre. Quando eravamo giovani mi ospitava Riccardo. Da quando siamo entrambi sposati, e spazio non ce n'è, ci si aggiusta con l’albergo. Le foto che si vedono qui, sui muri, in parte le ho prese io. La differenza tra un caffè preso a Tokyo e uno a Trieste? Beh, intanto c’è quella grande fra il nostro caffè e quello per così dire, di tostatura americana, che spopola in Giappone: quello è più amaro; il nostro più morbido. Rispetto a Trieste, le varianti principali sono il topping e il ghiaccio». Topping significa qualcosa che si mette sopra, in cima: «Trasforma il caffè in una sorta di irish coffee. Il ghiaccio è per l'estate: lo fa diventare una bevanda fresca che qui va moltissimo». Cercando di espandere l'attività, e rimanendo il più possibile vicino a Trieste, il Caffè propone anche vini friulani e, nel tardo pomeriggio-sera, apre anche come ristorante (il cartello dice “osteria”, in italiano). Si può ordinare la jota. Stampata in katakana, sul menù.
«Adoro Trieste», afferma con trasporto il signor Ueda. «È una città dove non mi sono mai sentito rifiutato, anche se sono chiaramente un orientale. Non succede dovunque. Della frequentazione con la città, mi è rimasta la capacità di leggere il giornale. Non capisco un accidente, ma forse ho un buon orecchio per la musica, perché ci riesco in modo fluente, come se conoscessi davvero la lingua. Lo faccio, ogni tanto, per divertire gli amici».
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