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Vescovo Santin, la statua che i parenti non vogliono

«Conoscendo bene il carattere di mio zio, immagino come avrebbe reagito» «Oltre allo spreco, non avrebbe gradito essere usato quale personaggio di parte»

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«Negli ultimi vent'anni l'espressione dell'arte religiosa in Italia si è manifestata soltanto attraverso le raffigurazioni di Padre Pio, la più brutta immagine mai espressa nell'intera civiltà cristiana. Ma non mi pare che monsignor Santin abbia le fogge sgradevoli di Padre Pio». Vittorio Sgarbi, invitato dalla Diocesi di Trieste, sdogana in modo lombrosiano il monumento di 10 metri (7 metri di basamento e tre di statua) del vescovo Santin in testa Molo IV (costo 110mila euro, obolo della Regione alla Fondazione Istituto di culttura marittimo portuale). E la Diocesi di Trieste ringrazia sentitamente la Regione e il Porto. Monsignor Giampaolo Crepaldi in testa e il vicario don Ettore Malnati in coda. «La statua di Mons. Santini finalmente andrà al Molo IV» titolava a pagina tre lo scorso numero di Vita Nuova. Non proprio in linea con il pontificato di Papa Francesco contrario al culto della personalità e alle statue in genere. E neppure in linea con la volontà dei parenti che, a distanza di sette anni, continuano a ripetere che Monsignor Santin, in vita, non avrebbe voluto un monumento del genere, un colosso di 10 metri piantato dentro il Porto Vecchio. E che sarebbe meglio usare quei soldi per opere di bene. «Siamo ai limiti del grottesco - scrive Dario Santin -. Conoscendo bene il carattere di mio zio, immagino quale avrebbe potuto essere la sua reazione a una proposta del genere: aveva un animo aperto, ma un carattere piuttosto deciso». La Diocesi di Trieste non la pensa così. La Chiesa tergestina predilige le statue alle opere di bene. «C’è senz’altro chi continua a essere contrario e sempre lo sarà, forse per motivi ideologici. Anche le lunghe tergiversazioni passate senz’altro nascondevano una sorda ostilità all’iniziativa detta da rimasugli ideologici» scrive il direttore di Vita Nuova Stefano Fontana. E rimasugli ideologici sono quelli che animano i nipoti contro l’edificazione del faraonico monumento al vescovo “solidale”. «Le proposte che oggi, come si suol dire, vanno per la maggiore, confermano che chi spesso mostra di onorare Dio vuole invece dare lustro a se stesso e promuovere la propria fazione» aggiunge sottile Dario. Una strumentalizzazione che passa sopra la volontà e i sentimenti dei parenti. «Ma credo che, al di là dello spreco, per un monumento faraonico, di risorse utilizzabili per le crescenti emergenze sociali, monsignor Santin non avrebbe gradito essere usato quale personaggio di parte», aggiunge Luciano Santin, giornalista e scrittore: «Chi ha costruito, e continua a farlo, monumenti di oratoria e di azione politica a Berlusconi, non potendo fonderli nel bronzo, si richiama ad Antonio Santin, per ricavarne immagine e riflesso morale. Lui in vita, non gli sarebbe stato permesso. E il tutto, sotto l’apparenza dell’omaggio, cela un torto gravissimo alla sua memoria».

Una statua che vale quanto l’oblio.

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