L’Amazzonia da salvare al Festival di Venezia
Il docu-film che chiuderà la Mostra del cinema è prodotto dalla triestina Manuela Mandler

di Beatrice Fiorentino
TRIESTE
C’è una triestina nel backstage di “Amazonia”, il film che chiuderà la 70° Mostra del Cinema di Venezia, la sera del 7 settembre. E il viaggio che la porta a Venezia passa addirittura per il lontano Brasile. Si chiama Manuela Mandler, classe ’75, nata e cresciuta a Trieste e laureata in Marketing del cinema alla Facoltà di Scienze della Comunicazione. In qualche modo il percorso era già segnato dal suo curriculum di studi, ma ragioni di cuore la portano a frequentare il Brasile sempre più assiduamente già dagli ultimi anni di Università fino alla decisione di trasferirsi definitivamente a São Paulo, dove oggi vive e lavora. Qui si occupa di co-produzioni internazionali per la Gullane Film, una delle più importanti case di produzione del Brasile. Grazie a loro, negli ultimi anni, si sono realizzati alcuni tra i più interessanti film del panorama mondiale. Per esempio il recente “Tabù”, capolavoro di Manuel Gomes che ha incantato le platee a Berlino nel 2012 e che incredibilmente non ha mai raggiunto le sale italiane. Tra gli altri titoli forse qualcuno ricorderà “La terra degli uomini rossi - Birdwatchers” di Marco Bechis, in concorso a Venezia nel 2008, “Carandiru” in concorso a Cannes nel 2003, “L’anno in cui i miei genitori andarono in vacanza” a Berlino nel 2007, o il collettivo “Mundo invisivel”, visto l’autunno scorso a Roma nella sezione CinemaXXI.
«Sono responsabile dei rapporti internazionali - racconta Manuela - questo significa che mi occupo delle coproduzioni ma anche del lancio dei film, dalla presenza ai festival fino alla vendita ai distributori. Alcuni film poi li seguo più da vicino perché magari nascono già come co-produzione, per gli altri invece cerco finanziamenti internazionali per poterli sviluppare».
Com’è nata la Gullane Film?
«È stata fondata da mio marito Fabiano Gullane assieme a suo fratello Caio. Poi si sono aggiunti altri due soci, più di recente. Io ci lavoro dal 2005».
Ci descrive la vostra attività?
«Ci siamo sempre fatti notare per la qualità dei nostri lavori, produciamo film da mandare ai festival ma dall’anno scorso abbiamo dovuto cominciare a muoverci su un doppio binario perché altrimenti i conti non tornavano. Così abbiamo prodotto anche una commedia intitolata “Finché la fortuna non ci separi”, è stato un enorme successo al botteghino. Il miglior box office brasiliano del 2012».
Avete appena ricevuto un riconoscimento al Festival di Annecy, il più importante appuntamento per il cinema di animazione…
«Esatto. Abbiamo vinto il premio al miglior film di animazione con “Uma história de amor e fúria”. È un’animazione per adulti che copre quasi seicento anni di storia del Brasile. Parla di un amore che attraversa i secoli e il protagonista è un grande sopravvivente che rivive i momenti più cruenti della storia del Brasile lottando sempre dalla parte degli oppressi. In ciascuno di questi momenti cruciali lui incontra il suo amore. E insieme, i due amanti, lottano contro la colonizzazione portoghese, la schiavitù, la dittatura, fino a un'immaginaria guerra per il controllo dell'acqua nel prossimo 2096. È un film molto attuale perché è in linea con tutto quello che sta succedendo in Brasile anche ai nostri giorni, con le contestazioni in piazza che stiamo vivendo. Il film dovrebbe essere distribuito in Italia dalla GA&A in data ancora da definire».
E “Amazonia”, il film che chiude il Festival di Venezia?
«Il progetto è nato come docu-fiction ma in realtà si sviluppa come una vera e propria fiction. È ambientato nella foresta amazzonica e i personaggi principali sono animali, ma c’è un plot. Lo abbiamo girato in 3D ed è stata davvero una grande avventura. Girare nella foresta implica di per sé enormi difficoltà, facendolo in 3D è stato ancora più complicato, e per di più è interpretato da animali. Figurati… Ci sono voluti tre anni per realizzarlo. Dovevamo anche girare nei diversi periodi dell’anno anche per descrivere la realtà della foresta amazzonica con la piena delle acque, la secca, eccetera…».
Di cosa parla il film?
«La storia comincia da un piccolo aereo che parte per l’Amazzonia. Durante una tempesta c’è un’avaria che fa precipitare l’aereo e il pilota muore. Dentro l’aereo però c’è una scimmietta, Saï. Lei non ha mai vissuto nella foresta, è la scimmietta di un circo e rimane lì da sola dovendo imparare a sopravvivere in un ambiente a lei sconosciuto. Dovrà imparare a vivere nella foresta e quindi ritrovare la sua vera natura. Seguiamo il suo percorso, il suo incontro con diversi animali, le sue avventure, le sfide e le conquiste fino all’incontro con il branco di scimmie grazie al quale scopre la sua dimensione. Ma la cosa più importante, che ci tengo a sottolineare, è che ovviamente è un film schierato a difesa della tutela della foresta».
Il regista è Thierry Ragobert, il suo nome è legato a quello di Jacques Cousteau e fa venire subito in mente i documentari sulla natura. È stato scelto per la sua dimestichezza con questo tipo di riprese?
«È andata così: il progetto è della società francese Biloba, il ramo che segue il cinema all’interno del gruppo Gedeon. L’idea è stata loro, ci hanno contattati ed è nata questa co-produzione. Ragobert lo abbiamo scelto insieme, lo avevano proposto i francesi perché è il regista di un altro film che hanno prodotto che si chiamava “Pianeta bianco”. È vero che lui viene da esperienze soprattutto in ambito documentario e infatti una delle cose che abbiamo portato noi è proprio la dimensione “fiction”. Abbiamo coinvolto uno sceneggiatore per dare un’impronta forte e abbiamo fatto scelte precise in questa direzione. Per esempio il film non ha nessuna voce off che guida il racconto. Il sonoro è fatto solo di musica e dei suoni della natura».
Uscirà nelle sale italiane?
«Uscirà sicuramente all’estero, il film è già stato acquistato da più di venti paesi ma non abbiamo ancora un distributore in Italia. Speriamo che si faccia avanti qualcuno a Venezia».
SentE mai nostalgia della tua città?
«Io passo a Trieste almeno due mesi all’anno. Per la famiglia, gli amici, per Trieste, l’estate… Fortunatamente ormai si può lavorare anche a distanza e quindi questo non è un problema».
Vorrebbe lavorare in Italia?
«Più che altro abbiamo diversi progetti che portiamo avanti e che coinvolgono anche l’Italia. Il Brasile e l’Italia sono paesi molto vicini come modo di lavorare, magari in questo momento il Brasile ha qualche risorsa economica in più ma speriamo per il nostro paese che questo sia solo un momento passeggero».
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