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«Ricerca e industria, mancano manager»

L’affondo di Giacca (Icgeb) che suggerisce una «piattaforma di sviluppo fra enti». De Maio e Rizzuto: «Migliorare si può»

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Il dibattito sul rapporto fra ricerca e impresa si è riaperto. Riportato in superficie vuoi dalla recente pubblicazione delle “pagelle” dell’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca, vuoi dalle considerazioni a caldo che ne sono seguite. Non ultima quella del presidente degli Industriali triestini, Sergio Razeto, che ha parlato di «collegamento molto modesto» fra ricerca e industria, spiegando come la prima «un po’ si compiace di se stessa» mentre la seconda «punta a risultati rapidi e tende a non rivolgersi a quel mondo. Manca coesione, dovremmo riuscire a migliorare». E a Confindustria era poi giunto l’“invito” del sindaco Roberto Cosolini a investire di più nel mondo dei ricercatori, finanziando dottorati e progetti. Proprio ieri il chiarimento fra Razeto e il primo cittadino, di cui riferiamo a parte.

Per il mondo della scienza, degli enti d’eccellenza con sede a Trieste, c’è molto da dire sul tema. Ci sono paletti da fissare. Forse anche sassolini da togliere dalle scarpe. La partenza di Mauro Giacca, direttore della costola triestina del Centro internazionale di ingegneria genetica e biotecnologie (Icgeb), è caustica: «Gli scienziati sono pagati per fare scienza, non per le sue ricadute. Quello che manca a Trieste è qualcuno che venga dal mondo economico, capisca di scienza e giri per i laboratori, li aiuti e metta in piedi possibilità per spin-off e attività industriali sul territorio. Uno scienziato - ribadisce Giacca - fa un dottorato in biologia, o in neuroscienze, non è un business-man. L’idea che nel garage di casa mescoli con alambicchi e poi inizi a costruire una grande impresa tipo Bill Gates o Steve Jobs è totalmente anedottica. Le università degli Usa hanno uffici per il trasferimento tecnologico dove lavorano decine e decine di persone fra avvocati, esperti di raccolta di venture capital e così via». Come fare per dare la svolta, allora? «Con il nuovo rettore Fermeglia, che ha un occhio particolarmente importante per la scienza, sarebbe giusto - dice Giacca - che Università, Sissa e gli enti di ricerca più importanti come Icgeb, Ictp e Sincrotrone, creassero una piattaforma di trasferimento tecnologico per tutti, un ufficio per la città. Con un piano di sviluppo industriale della ricerca a Trieste e qualcuno che faccia scouting».

«Ovviamente si deve e si può fare meglio - è la premessa del presidente del Consorzio per l’Area di ricerca di Trieste, Adriano De Maio -. Area è qui per creare valorizzazione della ricerca e i risultati ci sono. Non mettiamoci sempre a dire che le cose vanno male perché altrimenti andranno ancora peggio ragionando così. Certo il momento economico non è gradevole, ma nuove imprese nascono da noi: cerchiamo di trovare metodi e sistemi per migliorare». Suggerimenti nel concreto? «Non riusciamo a valorizzare i nostri centri di ricerca nel sistema industriale - osserva De Maio -, ciascuno di noi si dia da fare per spingere sull’innovazione. Trieste è deputata a sviluppare molto, il problema è aumentare i nuovi investimenti. Se le condizioni ci aiuteranno, la ripresa avverrà con grande innovazione e Trieste sarà una delle aree dedicate a questo. In autunno, intanto, presenteremo il nostro programma strategico».

«Questo tipo di dibattito andrà avanti sempre - è la riflessione di Carlo Rizzuto, numero uno di Sincrotrone Elettra -. Accade anche in altri paesi come la Germania dove c’è il rapporto più stretto fra ricerca e industria. In generale, ciò è dovuto al fatto che si riassume tutto nella parola ricerca quando invece si tratta di ricerca sì, ma anche di sviluppo e di innovazione. Tre cose diversissime. La ricerca produce nuova conoscenza, lo sviluppo è l’utilizzo della conoscenza già esistente in modo nuovo per risolvere problemi e l’industria ne fa grande uso, l’innovazione lavora su novità finanziarie, organizzative e di processo». Secondo Rizzuto, in ogni caso, ci sono delle «evoluzioni positive - prosegue -. Si sta portando avanti da anni uno sforzo con l’introduzione del concetto di “prodotti della ricerca” attraverso brevetti, contatti con industrie, mobilità del personale. Sincrotrone incrementa anno dopo anno il numero di industrie con cui collabora e alle quali porta conoscenza e sviluppo: si migliorano gli strumenti, creando metodi nuovi. Pensiamo al Cern dove i fisici teorici hanno inventato il web. O ai piccoli sensori dentro i telefonini per fare le foto: merito degli astronomi. Invenzioni che cambiano i mercati». Una delle difficoltà, uno degli angoli da smussare in Italia è ancora quello inerente proprio «la mobilità del personale. In Italia spesso un ricercatore entra in un ente pubblico e non si muove più. Invece noi stiamo tentando di farli girare il più possibile da un Paese all’altro». Perché lo scambio di informazioni e il confronto su metodologie e impostazioni differenti portano a un arricchimento per chi li vive. «Stiamo lavorando a un consorzio con altri otto Paesi dell’Est europeo - conclude Rizzuto - per implementare la circolazione dei lavoratori e il trasferimento tecnologico, con ricadute su Trieste».

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