Arte e burocrazia non dialogano e Trieste perde i pezzi migliori
Il caso della mancata donazione al Museo Revoltella del busto di Silvio Benco riporta a galla la questione del difficile dialogo tra le istituzioni e gli eredi

TRIESTE. Incomprensioni, dimenticanze, disattenzioni, intoppi burocratici. Voci che si incrociano e si contraddicono, lettere che spariscono, altre che ricompaiono. C’è un po’ di tutto nella lunga storia che lega lasciti e donazioni degli artisti triestini - o dei loro eredi e rappresentanti legali - con l’amministrazione pubblica, in particolare i musei cittadini. E la responsabilità non sta certo da una parte sola: è come se - e non da oggi - arte e burocrazia parlassero linguaggi diversi. Di fatto molte occasioni di arricchimento del patrimonio artistico cittadino rischiano di partire verso lidi lontani, se non di andare perdute. La lista è corposa, e gli esempi si possono rintracciare anche andando indietro nel tempo. Per esempio la raccolta stendhaliana di Bruno Pincherle, una delle più importanti al mondo, oggi fondo istitutivo - assieme al fondo Bucci - del Centro Stendhaliano alla Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani di Milano.
L’ultimo “caso”, per restare ai nostri giorni, la proposta di donazione del busto bronzeo di Silvio Benco firmato da Nino Spagnoli, è significativa in questo senso. Riassumendo: nel 2009 prima la vedova di Spagnoli, Giuliana Pazienza - per altro anche lei grande artista, pittrice e incisore di vaglia -, poi lo studio legale Terrano per suo conto, inviano due lettere all’indirizzo del Museo Revoltella, entrambe all’attenzione della direttrice Maria Masau Dan, per proporre in dono al museo il suddetto busto. Le lettere - per esplicita ammissione delle direttrice (vedi intervento sulla rubrica Segnalazioni del Piccolo di ieri) si perdono da qualche parte probabilmente per un disguido, e non ricevono risposta. Intanto il sindaco Roberto Cosolini recupera dagli archivi municipali una lettera dello stesso ufficio legale Terrano - curatore dei lasciti dello scultore -, datata novembre 2006, tre anni prima l’offerta di donazione, in cui, poco dopo la morte di Spagnoli, viene proposto all’amministrazione comunale di allora, l’acquisto, al costo di 10mila euro ciascuno, di tre pregevoli busti di Spagnoli: Victor De Sabata, Tiberio Mitri e appunto Silvio Benco. Ma, racconta oggi Giuliana Pazienza, «l’amministrazione rispose che non c’erano a disposizione i fondi necessari».
Del resto già nel 2003, lo stesso Spagnoli aveva proposto per via informale al Revoltella (non direttamente, ma tramite l’interessamento del consigliere di An Salvatore Porro, che pure due anni prima aveva sollevato una furibonda polemica per la “sconvenienza” di un’altra opera di Spagnoli, la “Mula di Trieste” di Barcola) l’acquisto di una sua opera, non meglio specificata. E anche allora la cortese risposta (una e-mail della direttrice datata 1 agosto 2003) declinava l’offerta per mancanza di fondi a bilancio. D’altro canto, come ricorda Masau Dan, sia per gli acquisti che per le donazioni al museo la decisione non spetta al direttore, «bensì al Curatorio, che, secondo l’art. 7 del Regolamento del Museo ha il compito di “deliberare gli acquisti di opere d’arte ed esprimere parere sull’accettazione di doni e legati di particolare importanza”».
Anche la vicenda del pianoforte e altri cimeli appartenuti a Lelio Luttazzi, offerti dalla moglie Rossana al civico Museo teatrale Carlo Schmidl, si era arenata per mancanza non tanto di fondi quanto di spazi nello stesso museo, prima di trovare altra sistemazione, in città, in due sale della Biblioteca statale Stelio Crise di Largo Papa Giovanni XXIII (l’ok era arrivato direttamente dal Ministero per i Beni cuturali). Le sale ora sono in via di realizzazione. In una, più piccola, ci saranno oggetti e memorabilia appartenute a Luttazzi, nell’altra, più grande, verrà sistemato il pianoforte. Che non sarà lì in esposizione “statica”, ma con l’idea di organizzare periodicamente incontri ed eventi musicali. Tutti i materiali multimediali, i filmati delle trasmissioni condotte per la Rai, le canzoni, gli scritti sono già provvisti di liberatoria e potranno essere visionati dal pubblico anche in apposite postazioni video. Ciò che più conta, però, è che attraverso i suoi oggetti, Lelio Luttazzi resterà nella città che ha sempre amato e nella quale è voluto tornare.
In ballo, altre collezioni e opere, quali la raccolta d’armi di Giorgio Irneri, messa a disposizione dalla figlia Donata Hauser, la cui donazione però, afferma Maria Masau Dan, non è mai pervenuta «ai nostri musei», così come l’offerta dei cartoni preparatori degli affreschi di Galleria Protti di Sbisà, il “Lavoro” e lo “Svago”, finiti a Casa Cavazzini a Udine (e in effetti, conferma oggi Mariella Schott Sbisà vedova dell’artista, «al Revoltella non ho mai proposto direttamente la donazione dei cartoni»).
Insomma qualcosa sembra proprio non funzionare nel dialogo tra le parti, offerenti e beneficiari, almeno in questa città. Visto che, e lo ricorda sempre Maria Masu Dan, altre offerte vanno a buon fine: da poco fa bella mostra di sè al Museo Revoltella una straordinaria scultura di Ugo Guarino “Il Cavaliere nero”, arrivata da Milano in dono da Barbara Guastalla. E allora? Che sia la solita maledizione del “no se pol”?
p_spirito
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