Ugo Borsatti, 60 anni di foto a Trieste
Esce un libro con 186 “scatti” per celebrare i 60 anni di Foto Omnia: la vita quotidiana in città dai moti del ’52, alle feste e ai mestieri scomparsi

Scorge un’anziana signora inginocchiata davanti alla vetrina del suo negozio. Teme stia male. Esce: «Posso aiutarla?». Lei nemmeno si alza, nemmeno lo guarda ma, con voce tremula, risponde in dialetto: «Sento ancora il profumo». Allora, solo allora, Ugo capisce che la colpevole è una di noi. Un’energica “mussolera” che attinge una porzione di molluschi dal pentolone fumante del suo banchetto di via Sorgente, sorridendo a quattro clienti intabarrati in cappottoni di un tempo che fu e scatenando un rigurgito di nostalgia più di mezzo secolo dopo.
Ugo è Borsatti. Noi le sue fotografie. Ugo e noi, uniti nell’icastico titolo di un libro appena uscito, una storia d’amore che, al ritmo di suole consumate, scatti infiniti, stampe e ristampe, vive da sessant’anni: i protagonisti sono un ex ragazzino classe 1927 che studiava da geometra e non si immaginava di diventare un “mito triestino”, men che meno di finire nel salotto Rai di Antonellona Clerici o nel tempio newyorkese del Moma, e le sue «carezze al mondo» che, come scrive il giornalista e fotografo Claudio Ernè, sgorgano dagli obiettivi di una Leica, di una Canon o di una Rollei ma non variano d’intensità se di mezzo ci sono la Grande Storia o le piccole storie, Sophia Loren al ballo della Cavalchina o gli spazzacamini in Guzzi, la morte di Pierino Addobbati o l’ultima tonnara di Santa Croce, la parata militare sulle Rive o le fusa di due innamorati all’Ausonia.
Scegliere tra quelle «carezze» elargite nel tempo, più di 350mila, è stato improbo: «Volevo “celebrare” i sessant’anni di attività della mia ditta individuale Foto Omnia. E volevo che ci fossero i tempi e i luoghi del mio cuore, della mia infanzia e della mia giovinezza, ormai scomparsi o profondamente trasformati, come la festa di San Giuseppe che radunava mezza Trieste con gli abiti “primaverili” e un ombrello appeso all’albero perché, a marzo, magari piove. Alla fine, con fatica, sono riuscito a selezionare 800 foto» racconta Borsatti. Tante, troppe per un libro: «Le ho messe in uno zaino e sono andato a Bologna dove Maria Orecchia, carissima amica autodefinitasi allieva, mi ha aiutato a tagliare ancora». Poi, in scena, è entrato Massimo Cetin: «Un fotografo, prima che un grafico e un editore, che ha fatto un lavoro eccezionale, ideando l’immagine di copertina e il progetto grafico, restituendo lo “splendore” originale a ogni foto, curando la stampa in bicromia e inventando persino il titolo». Titolo un po’ insolito che, rivendica Cetin, coglie l’essenza di un libro non solo fotografico dove «Ugo racconta le sue foto e le sue foto raccontano Ugo».
E in effetti, nelle duecento pagine che lo storico Roberto Spazzali definisce un «album di famiglia di Trieste», non ci sono solo 186 immagini. Ma, sparsi qua e là, i ricordi di Borsatti. Vividi, teneri, talvolta ironici, sempre curiosi: la finestra di casa socchiusa su via Ginnastica che il 14 settembre 1943 lo vede, studente, sfidare le ira di mamma e catturare la Storia, ritraendo una colonna di soldati italiani prigionieri dei tedeschi, la signorina Gisella che lo dota di una Leica e lo spinge a scattare, il celerino troppo celere che lo picchia, lo scalcagnato camion “made in Usa” che lo porta in gita a Misurina e persino gli spioni americani che lo prelevano come sospetto ritrattista di dischi volanti.
Il racconto di Ugo si sviluppa in cinque tempi: la storia ufficiale del secondo Novecento che contiene le foto più celebri, il caleidoscopico carosello di vip che approdano sotto il Colle di San Giusto, i brividi che la bora, le gelate e le mareggiate regalano nel tempo, gli antichi mestieri e, infine, l’amarcord di luoghi, personaggi e “frammenti” triestini.
L’inizio è incalzante: la fine della guerra, l’armistizio, i moti del marzo ’52, le tragiche giornate del novembre ’53, la tracciatura dei nuovi confini, l’arrivo di nuovi esuli, l’addio di inglesi e americani con il celeberrimo bacio di Graziella e Jim alla stazione ferroviaria preparano il ritorno all’Italia con l’approdo delle truppe, l’ingresso di Luigi Einaudi in Municipio e lo “spiumaggio” affettuoso dei bersaglieri. Una breve pausa, mentre al Grezar Palmiro Togliatti si sente male, e le tensioni ripartono: gli scioperi di marittimi e cantierini, le proteste del ’68 e le rivendicazioni femministe riaccendono Trieste. L’attimo di un clic e Lara Saint Paul, in una scollata rivolta contro il Lloyd Adriatico, spiana la strada ai personaggi famosi: Mike Bongiorno, giovanissimo, posa all’Ippodromo di Montebello con il cowboy campione di “Lascia o raddoppia”, Silvana Mangano ammalia nel vagone di un treno, Milva canta al concorso “Voci nuove”, le gemelline Kessler e la prorompente Abbe Lane si esibiscono in Castello e Rudolf Nurayev al Rossetti, mentre Renato Rascel affetta prosciutti in un buffet, Vittorio Gassman e Alberto Sordi gesticolano a tavola, Silvana Pampanini vola in piazza Unità, Claudia Cardinale non fa nulla ma è folgorante e, star tra le star, Marco il pinguino si rivela una pinguina.
Il racconto si tuffa, a quel punto, nelle mareggiate e nelle gelate che trasformano Trieste: un’onda budino minaccia le Rive, la bora schiaccia a terra due passanti, abbatte una gru in via Conti, ferisce l’Ippodromo, l’acqua alta toglie scarpe, trasforma pantaloni in bermuda, ferma persino i vigili del fuoco, mentre la neve blocca un tram in via Battisti ma non le “donne del latte” che fanno le consegne a domicilio.
Non esistono più, non segnalano più con il braccio le svolte a sinistra del carretto stracarico, e non sono le sole: dove sono finiti la fioraia all’aperto di via Carducci, il venditore occhialuto di caldarroste o i pescivendoli di “Santa Maria del Guato” che festeggiano Nino Benvenuti come «el mulo più forte del mondo»?
Mestieri scomparsi come le feste, i luoghi, gli eventi che rivivono nel quinto e ultimo tempo: la “Befana del vigile” con i doni depositati dai triestini ai principali incroci nel ’58, il vecchio Cinema Nazionale abbattuto con la sua cupola, il tram delle rive con fermata “Bagni”. Non tutto si perde: l’autostrada, immortalata nel giorno dell’apertura, resiste aspettando la terza corsia, la Dionea prospera nonostante la gemella Ambriabella marcisca in solitudine, gli ex pini neonati di Barcola sono un’intoccabile oasi verde. «E pensare che quando il dirigente comunale Duilio Cosma li piantò nel 1953, su terreno riportato dalle macerie dei bombardamenti, pochi credevano che sarebbe nato un bosco» ricorda Borsatti. Si congeda, poche pagine dopo, con un Santo Stefano piovoso in piazza Unità. Ma è solo un arrivederci: «Sto già pensando al prossimo libro. Vorrei dedicarlo alle partenze dei nostri emigranti. Ho più di quattromila foto». E ancora tante storie da raccontare.
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